di Fabrizio Maria Barbuto

Bambine ingozzate fino al rigurgito e costrette a sovralimentarsi tanto da superare quella che è l’effettiva capienza dei loro piccoli stomaci, il tutto per conformare la femmina ad un trend che la condanna all’obesità: nonostante un quadro così drammatico sembri riassumere i contenuti di un film, esso ritrae invece la realtà di alcuni territori dell’Africa Occidentale.

Quando la dieta vi costringe a rinunciare a qualche intingolo di troppo pensate che per le bimbe del Mauritania il vero sacrificio è ingrassare forzatamente. La pratica è nota come “Leblouh”, un termine che fa tremare le infanti e racchiude in sé un’infinità di torture ad opera dei tenutari di apposite cliniche nate per rimpinzare le piccole pazienti. A condurle laggiù sono proprio coloro i quali, più di chiunque altro, dovrebbero avere a cuore la salute fisica ed emotiva di queste imberbi martiri: i loro genitori.

Nonostante noi europei si faccia fatica a concepire un cliché che identifichi la perfezione in un corpo così in sovrappeso da sfociare nelle più paventate patologie mediche (si parla di ipertensione, diabete e disturbi cardiaci), pare che per i mauritani simili connotazioni si rendano sinonimo di bellezza, ed è per questo che i congiunti di una bimba dall’esile forma fisica provvederebbero, sin dai primi anni di vita della creatura, ad annientare la vergogna della sua magrezza, garantendole così la possibilità di trovare marito.

Poco conta se tutto avviene a spese del benessere, dell’istruzione e dell’autostima della piccola, purché ella, a partire dai sei anni, acconsenta a tracannare un menu quotidiano che contempli almeno 2 kg di miglio mescolati a due tazze di burro e 20 litri di latte di cammella, cui si aggiungono quantità indefinite di cuscus ipercondito.

E affinché il traguardo dei 100 kg diventi sempre più auspicabile, a tutto ciò viene addizionata una notevole quantità di ormoni per bestie da macello. Ma neppure il vomito rappresenta una scappatoia per le fanciulle, pena le violente percosse di coloro che vigilano sul loro impinguamento intensivo. Affinché sia data continuità ai tempi imposti tra un pasto e l’altro, le bimbe vengono svegliate nel cuore della notte ed ingozzate come fossero anatre da foie gras.

Una volta concluso l’ingrasso all’interno di questi centri di tortura, le pazienti sono già “confezionate” ad arte per appagare il senso estetico dell’uomo che voglia sposarle senza aspettare che crescano, perpetuando l’inumana usanza dei child-marriage (matrimoni infantili). E non si parla mica di casi isolati: stando ad una stima dell’Agi, la pratica del Leblouh, sarebbe stata messa in atto ai danni di circa il 20% delle mauritane, molte delle quali sono morte d’infarto.

Ad oggi, questi numeri, risultano essere diminuiti, ma non abbastanza da tranquillizzare: soprattutto nelle campagn, la situazione sembra essere allarmante.

Ad irretire il maschio, spingendolo nella direzione dell’obesa, non sarebbe tanto l’adiposità di quest’ultima, quanto il fatto che la sua condizione patologica rimandi a trascorsi infantili di opulenza ed agiatezza, scongiurando l’ipotesi di prendere in moglie una fanciulla indigente.

Il Mauritania, a modo suo, sembra obbedire anch’esso agli ingloriosi canoni della società dell’immagine, solo che ogni convenzione, laggiù, risulta contrapposta a quelle cui siamo abituati e non riconosce una remora neppure nell’osservanza del libero arbitrio.

Fabrizio Barbuto

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