Sono forse proprio loro ad avere patito maggiormente il periodo di isolamento determinato dall’adozione delle misure di contenimento dell’epidemia di coronavirus, eppure sono stati i meno considerati sia dalla politica sia dagli organi di informazione. Il governo giallorosso permetteva di portare a passeggio i cani, ma non i bambini, costretti a permanere al chiuso ogni dì per mesi, senza la possibilità di giocare con gli amichetti, frequentare la scuola, i centri sportivi, partecipare alle feste, o anche solo respirare all’aria aperta.

I minori, i quali si apprestano a tornare in classe con tanto di mascherina e distanziamento sociale che impedisce loro quella naturale socializzazione indispensabile alla crescita e all’evoluzione individuale, stanno facendo i conti con problematiche che noi, da piccini, non abbiamo conosciuto. E a rendere a molti di loro l’esistenza più difficile è l’abitare in un ambiente familiare ostile, che non garantisce quel clima di protezione, amore e calore di cui ogni pargoletto ha bisogno e pure diritto.

Su un totale di 457.453 dei minorenni seguiti dai Servizi sociali nel Bel Paese sono 91.272 quelli maltrattati, più numerosi al Sud e al Centro che al Nord. Si tratta di 9,5 fanciulli presi in carico poiché vittime di maltrattamenti ogni 1000 minori residenti, come risulta dalla prima “Indagine nazionale sul maltrattamento dei bambini e degli adolescenti in Italia”, presentata nel 2015 e condotta da Terre des Hommes e CISMAI (Coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l’abuso dell’infanzia). Le tipologie di maltrattamenti più comuni sono la trascuratezza materiale e/o affettiva (47,1% dei casi), la violenza assistita (19%), che si configura allorché il bimbo è testimone di violenza domestica e ne sopporta le conseguenze, l’abuso psicologico e quello fisico.

La quarantena ha di sicuro appesantito il fardello che grava sulle gracili spalle di migliaia e migliaia di giovanissimi, i quali non hanno avuto la chance di evadere dalla abitazione che sovente costituisce il teatro di terribili sopraffazioni né quindi l’occasione di potere chiedere aiuto. Le vessazioni sono rimaste circoscritte all’interno del perimetro domestico, nascoste agli occhi di chi avrebbe potuto accorgersene e dunque intervenire in soccorso dei minori, ad esempio figure come gli insegnanti, o il pediatra.

La reclusione forzata in ambienti angusti ha esasperato inoltre gli atteggiamenti aggressivi di madri e padri nei confronti della prole, l’insofferenza tra conviventi, la rabbia, esacerbando pure la violenza contro le donne, di cui i bambini sono spettatori inermi e impotenti. Di solito il minore che assiste, o subisce a sua volta, a questo genere di accadimenti sviluppa un profondo senso di colpa, dal momento che per dare un senso a ciò che vive finisce con l’attribuire la responsabilità a se stesso. Tale meccanismo condiziona poi il suo sviluppo psichico, la visione che egli ha della propria persona e le sue relazioni.

Ogni anni tra 133 e 275 milioni di bimbi sono testimoni di episodi di comportamento violento tra i propri genitori, stando ai dati forniti dall’Unicef. Ed è agghiacciante che, a livello globale, quasi la metà degli adolescenti di età compresa tra i 15 e i 19 anni ritenga che in certe circostanze un marito sia giustificato quando picchia la moglie. L’aspetto peggiore della violenza forse è proprio questo: essa tende ad essere perpetuata. All’infinito.

Come se non bastasse, dall’80 al 98% dei fanciulli ha ricevuto punizioni fisiche a casa, di cui un terzo o più ha sofferto castighi particolarmente feroci mediante l’utilizzo di oggetti.

Tuttavia, le torture restano segrete. Non se ne parla tra familiari, in quanto si scade nella comune accettazione, né con gli estranei, poiché resiste uno sciocco senso di vergogna, misto alla paura del giudizio altrui o delle conseguenze di una eventuale denuncia.

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