Quando il suo babbo aveva sposato un’altra donna, la piccola Fatima (nome di fantasia), che si era trasferita con il padre dal Marocco a Torino, si era illusa che avrebbe avuto finalmente una mamma, la quale l’avrebbe amata, coccolata, protetta. Tuttavia, la nuova moglie del papà si rivelò da subito essere la peggiore delle matrigne, una vera e propria strega. Quella bambina, non sua, era considerata una intrusa in famiglia e per questo era stata ridotta in schiavitù nonostante la tenera età, soli 7 anni all’epoca dei fatti (2016).
Fatima, prima di recarsi a scuola, doveva eseguire alla perfezione le faccende domestiche; ogni pretesto era buono per picchiarla, persino con coltelli roventi; le violenze erano quotidiane, tanto che la bimba aveva tangibili segni di percosse, ustioni e tagli su tutto il corpicino, per di più denutrito, dato che a lei venivano riservati gli avanzi dei pasti, mentre il papà, la matrigna e la figlia di quest’ultima consumavano pietanze fresche e appetitose. Alla sorellastra, di qualche anno più grande, tutto era concesso, ogni suo capriccio soddisfatto, ogni suo desiderio esaudito, mentre Fatima, che indossava solo stracci, incassava umiliazioni e torture, non poteva guardare i cartoni animati né sedere a tavola.
“Che quel cibo possa avvelenarti”, “ti prendo e ti butto nella spazzatura”, “sei soltanto una stupida orfana”, “ti abbandonerò in montagna e ti farò divorare dai lupi”, erano le parole più gentili che la pargoletta si sentiva rivolgere da coloro che avrebbero dovuto amarla e prendersene cura. Mai un abbraccio né una carezza. La sorellastra mangiava davanti a Fatima il gelato mentre ella era divorata dai morsi della fame. Insomma, quella creaturina era il bersaglio familiare contro il quale scaricare odio, frustrazione, rabbia.
Le vessazioni sono andate avanti per quattro lunghi anni finché una maestra, nel 2016, non si è accorta dei lividi che Fatima aveva sul viso e sulle braccia. Da qui è partita una indagine, sfociata poi in un processo, conclusosi qualche giorno fa, a Torino, con la condanna della matrigna ad un anno e sei mesi di carcere e l’assoluzione del padre, sebbene questi abbia preso parte alle angherie o comunque non abbia fatto nulla per impedire che Fatima venisse seviziata. I giudici probabilmente hanno apprezzato che l’uomo si sia mostrato pentito in tribunale manifestando il bisogno di chiedere scusa alla figlia, la quale nel 2016 è stata trasferita in una comunità. Un ravvedimento convincente che tuttavia non potrà cancellare né lenire i dolori patiti dalla ragazzina, che ha riportato pesanti danni psicofisici.
A questa Cenerentola moderna è stata strappata via l’infanzia e anche la fiducia negli esseri umani, poiché, quando addirittura colui che ti ha messo al mondo ti ha ferita e non è stato in grado di tutelarti, non sei capace di credere nel prossimo. Ed è questa la sfida che dovrà affrontare Fatima: concedere a se stessa quell’amore che le è stato negato, perché lo merita. Toccherà a lei, e non al principe giunto sul cavallo bianco per salvare la principessa in difficoltà, trasformare il male subito in opportunità, crescita, evoluzione, risorsa.
Di questa squallida faccenda ci preme sottolineare un aspetto nient’affatto secondario: per sgravarsi delle proprie colpe il papà e la matrigna di Fatima hanno sostenuto che il trattamento inumano riservato alla bambina derivasse da una consapevole scelta di metodi educativi in voga nei Paesi di origine. Insomma, essi perseguivano il bene della piccola martoriandola, così come prescritto dalla loro tradizione. Gli extracomunitari dovrebbero smetterla di trincerarsi dietro la propria cultura per giustificare condotta e crimini. Siamo in Italia e chi intende campare qui è tenuto a rispettare le nostre leggi, altrimenti faccia le valigie e torni pure a casa sua. Non ne sentiremo la mancanza.