Il M5S ha conseguito il 17% alle consultazioni Europee non per colpa di Gigino, come vorrebbero farci credere, bensì proprio grazie a lui. Se non ci fosse stato Di Maio, sarebbe andata peggio. Se il suo ruolo fosse stato affidato al giramondo con lo zaino in spalla, il disoccupato felice, Alessandro Di Battista, non è escluso che sarebbe andata peggio, dato che non appena quest’ultimo è rientrato in Italia e ha cominciato a saltare da un canale televisivo all’altro tenendo i suoi sermoni e atteggiandosi a guru spirituale dei nostri stivali, il movimento ha iniziato a perdere quota nei sondaggi.
Ecco perché questa non è affatto una sconfitta personale, è il fallimento di un progetto politico che sta rivelando tutte le sue contraddizioni e storture. Il reddito di cittadinanza è stato un buco nell’acqua. Proprio ieri abbiamo appreso dal presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, che il tasso di rifiuto dell’obolo di Stato si conferma al 25-27%. L’ostruzionismo operato senza tregua dai grillini all’ammodernamento di un Paese che ha urgente necessità di infrastrutture ci ha ridotti all’immobilismo. Errori sono stati compiuti pure nella conduzione della campagna elettorale, in cui non si è fatto altro che attaccare l’avversario politico nonché alleato di governo, Matteo Salvini, al fine di screditarlo. È una strategia turpe che non paga, anzi affossa. Ed è stato appurato. Cosa sarebbe successo se al posto di Gigino ci fosse stato Fico, o Lezzi, o Toninelli? Sono questi personaggi scoloriti i rappresentanti di spicco del movimento e non sembrano affatto essere più dotati del ministro del Lavoro, su cui tutti puntano il dito inquisitore.
Adesso si vorrebbe piazzare al posto del vicepremier un sostituto che rinvigorisca e rivitalizzi un partito quasi moribondo, di sicuro ammalato. Eppure, il M5S un capo politico già ce l’ha e non è mai stato Luigi Di Maio, né Beppe Grillo, bensì Davide Casaleggio, che campione di scacchi quale è, è passato dal muovere le pedine sul tavolo da gioco a manovrare gli adepti gialli, i quali a lui devolvono (tramite l’Associazione Rousseau) parte dei propri stipendi, ossia 300 euro ciascuno ogni mese, e a lui rispondono del proprio operato. Davide è fondatore, presidente e tesoriere dell’Associazione privata Rousseau a cui fanno riferimento elettori ed eletti, incluso Gigino. Casaleggio junior, per statuto, ha pieni poteri sul movimento pentastellato. Era l’8 aprile del 2016 allorché Casaleggio padre, Gianroberto, ideatore del movimento stesso, quattro giorni prima di morire, mediante atto notarile ha messo le redini del partito in mano al primogenito, trasformandolo così in dominus indiscusso e soprattutto indiscutibile. Chiunque può essere rimosso. Tranne lui.
Di Maio ha le sue colpe, prima tra tutte quella di essersi fatto usare per poi farsi gettare via. E dopo di lui sarà il turno di un altro burattino. Gigino aveva previsto il boom economico in clima di recessione, aveva affermato che la povertà sarebbe stata abolita, per decreto, e poi il reddito di cittadinanza si è rivelato un terribile flop. Si è impuntato per le dimissioni di Armando Siri, sottosegretario leghista indagato per corruzione, facendone una questione di principio oltre che di vita o di morte, eppure nei confronti dei sindaci di Roma e Torino, Virginia Raggi e Chiara Appendino, indagata la prima per abuso d’ufficio e la seconda per disastro ed omicidio plurimo colposo, non ha mostrato la medesima intransigenza. Si è proposto quale nume tutelare della democrazia e poi ogni dì si augurava la morte dei giornali, garanzia di pluralismo e libertà, da parte dei quali – per i grillini è un’ossessione – il M5S sarebbe sotto attacco. I pentastellati sono fervidi sostenitori della democrazia diretta, che mette in discussione la centralità del parlamento in favore della rete, nella quale dovrebbe essere esercitato il diritto di voto dell’elettore-utente. Peccato che questo modello in nuce altro non è che la democrazia diretta sì, ma da Davide Casaleggio, che ha accesso esclusivo alla piattaforma Rousseau in cui i seguaci grillini voteranno anche domani per decidere se salvare il gladiatore Di Maio o condannarlo a morte. Oramai l’uomo è consunto e deve essere deposto. Eppure questi controsensi non sono propri del ministro del Lavoro, sono insiti semmai nel movimento che egli rappresenta e incarna forse ancora per poche ore. Di Maio può essere gettato via, come uno straccio vecchio. Chi non può essere estromesso, delegittimato, sostituito è il monarca Davide. Di Maio non è un capo, è un mero portavoce. Il capo vero è Casaleggio, di cui nessuno può liberarsi. Quest’ultimo può, invece, come prevede lo statuto, rimuovere non solo il portavoce ma anche il garante, che è Beppe Grillo. Tuttavia il potere del leader, anzi del sovrano-ombra, inizia ad erodersi, ad affievolirsi come una fiammella mossa dal vento, e quasi si spegne. Davide, che era stato indicato dal New York Times come “l’uomo più potente in Italia”, adesso vale un 17% che di giorno in giorno si assottiglia. Se Casaleggio junior è fondatore, titolare, sovrano, gestore, tesoriere, presidente unico dell’Associazione Rousseau, questa sconfitta è anche sua, anzi è più che altro sua, poiché non basta stare in silenzio dietro le quinte, buono buono e quatto quatto, per non essere coinvolto nel fallimento generale, da imputare allo scemo di turno. Come si incassano i milioni di euro, bisogna incassare pure smacchi, fiaschi, fallimenti. E questo 17% è uno scacco matto a Casale
Articolo pubblicato su Libero il 30 maggio 2019