di Fabrizio Maria Barbuto

Per anni ci ha mostrato il lato oscuro della realtà, oggi è una delle sue muse a svelare il suo: Tippi Hedren, protagonista de “Gli Uccelli”, racconta al mondo un Hitchock inedito.

Bella, magnetica, e soprattutto bionda – caratteristica imprescindibile per il celebre regista – sono queste le peculiarità che convinsero “Hitch” a contattare Tippi non appena la vide in un carosello alla tv, nel 1962.

L’attrice, all’epoca 31enne, guadagnava da vivere per sé e la sua bambina (una Melanie Griffith di appena cinque anni) lavorando come modella. Fu irresistibile per Alfie – come lo chiamavano amici e colleghi – quella chioma cotonata color platino, e lui che delle bionde diceva: “Sono le vittime ideali, come neve intatta sulla quale spiccano le impronte di sangue”, la convocò per un provino. Ma quella che sembrava essere solo stima di un pigmalione verso la sua ultima scoperta, divenne presto ossessione.

I primi segnali che il suo interesse verso la Hedren andasse ben oltre il semplice lavoro, Hitch li diede durante un viaggio in limousine: in quell’occasione si lanciò addosso alla donna con la pretesa di essere baciato. È la stessa Hedren a raccontarlo nel suo libro autobiografico “Tippi: A Memoir (2016)”.

Il rifiuto di quelle attenzioni costò alla fanciulla mesi di soprusi ai quali il genio dell’horror la sottopose durante tutta la permanenza sul set de “Gli Uccelli” (1963): il contratto prevedeva l’impiego di pennuti finti per la famosa scena della soffitta in cui la protagonista viene aggredita dai voraci uccelli, ma violandone le condizioni, Hitchock fece portare sul set corvi e gabbiani vivi, scagliandoli addosso all’interprete ad ogni ciak e dicendosi sempre insoddisfatto del girato, in modo da ripeterlo all’infinito. Lo stress causò all’attrice un’ornitofobia (paura dei volatili) mai del tutto superata, nonché una serie di traumi risolti solo dopo anni di terapia.

Le avances continuarono a essere perpetrate in tutti i mesi di lavoro, e ogni reiterata negazione costò a Tippi, di volta in volta, una punizione diversa. Una delle tante fu l’emarginazione dei colleghi sul set, ai quali venne proibito di rivolgerle la parola per sprofondarla in quell’abisso in cui, allontanando il regista, aveva “scelto” di annegare: un inferno che sembrava somigliare a quello vissuto da Melanie Daniels – la protagonista de “Gli Uccelli” – forse è questo il motivo per cui ne venne fuori un’interpretazione magistrale: l’eroina scappava dai pennuti assassini esattamente come Tippi dal suo orco.

Il travaglio della diva non finì al rintocco dell’ultimo ciak: ormai vincolata ad Hitchock in seguito alla stipula di un contratto di esclusiva, fece con lui un secondo film: “Marnie” (1964). Si tratta della storia di una ladra frigida che non riesce ad abbandonarsi alle attenzioni sessuali del suo compagno. Sembrava che Alfie, nell’affidarle quel ruolo, si beffasse di lei e del ripudio al quale l’aveva sottoposto, ma non pago di quell’ennesima angheria, una volta terminate le riprese, scelse di non affrancare l’attrice dal vincolo contrattuale, tuttavia non le affidò più alcun ruolo. È per questo che la talentuosa artista non è ricordata per altro all’infuori di quell’unica pellicola che ha fatto storia.

L’anziana attrice, oggi 87enne, continua a vivere i fasti del divismo attraverso i successi della famosa nipote Dakota Johnson, protagonista del tanto discusso “Cinquanta sfumature di grigio”, anche se nessun discendente della sua famiglia sembra aver ereditato quel suo caratteristico charme misterioso, velato di arcana trascendenza.

Fabrizio Maria Barbuto

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