Poche cose avvantaggiano tanto quanto l’essere sottovalutati. Per questo dovremmo essere grati a coloro che su di noi non scommetterebbero un soldo, poiché essi ci offrono un notevole beneficio tattico nonché l’occasione di stupirli, la quale procura un piacere sublime.
Il misconoscimento dell’avversario è assai diffuso soprattutto in politica. Accade in particolare ai personaggi di destra di essere svalutati e sottostimati, forse perché la sinistra è affetta da un’arroganza cronica che la induce a considerarsi superiore a chiunque, dunque imbattibile. Non avviene soltanto in Italia.
Prendiamo ad esempio il presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Sia negli USA che nel resto del pianeta lo davano tutti per sconfitto durante la campagna elettorale e la sua vittoria ha gettato discredito su analisti, sondaggisti e commentatori, i quali erano certi che alla Casa Bianca si sarebbe insediata la prima donna presidente, la democratica Hillary Clinton, un tantino sopravvalutata.
La sera del 9 novembre del 2016 il risultato elettorale lasciò a bocca aperta non soltanto Barack Obama, che non credeva possibile tale esito, ma persino coloro che avevano votato a favore del magnate sperando nel suo trionfo. Carter Goodrich, autore della copertina del New Yorker su cui era ritratta una orribile caricatura di Donald in veste di pagliaccio spaventoso, nel 2017 affermò: “La mia vita è stata sconvolta dall’elezione di Trump. A un anno dalla notte delle elezioni non mi sono ancora ripreso dallo stordimento”.
Ad agevolare l’ascesa del tycoon fu pure la sua diretta antagonista. Da democratica Hillary mostra un senso di repulsione nei confronti degli elettori che non la prediligono: chi vota contro di lei è un perfetto idiota, chi vota per lei è un tipo giusto. Tale snobismo può risultare molto antipatico e portare ad una dispersione notevole di consensi.
Il 9 settembre del 2016 l’aspirante presidentessa definì “miserabili” i sostenitori di Trump, etichettandoli quali nazisti, fascisti, suprematisti bianchi, misogini. Insomma, il peggio del peggio. Clinton, anziché presentare le sue proposte, attaccava gli americani propensi a schierarsi con Donald.
Autogol clamoroso. L’aggettivo “miserabili” fu adottato e sfruttato da Trump, che cominciò ad insistere nei suoi discorsi: “Siamo noi i miserabili”. Nacque così una orgogliosa categoria di appartenenza, quella dei cittadini che sostenevano Donald, gente comune, stanca, arrabbiata, delusa dalla ipocrisia e dalla indifferenza della sinistra. Trump aveva ormai la vittoria in tasca. Tuttavia i democratici autoreferenziali non erano in grado di accorgersene.
Pure il primo ministro Boris Johnson era stato dato per sconfitto, descritto dai quotidiani di mezzo mondo, Italia inclusa, quale individuo bizzarro e rozzo, deriso per il suo taglio di capelli, disprezzato per le sue sparate coraggiose, che sono sintomo di autenticità, dote rara in politica.
Eppure Boris è tutto fuorché stupido, possiede una vasta cultura ed un curriculum di tutto rispetto, ma soprattutto è uno che mantiene la parola. Subito dopo avere appresso il risultato delle votazioni, quindi la sua elezione, quando oramai era sopraggiunta l’alba, Johnson ha esclamato: “E ora facciamo la Brexit, però prima facciamo colazione!”. In seguito ha compiuto sia una che l’altra in tempi record.
Emblema italiano dei sottovalutati che si prendono poi la loro rivalsa è il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi, il quale, non appena esordì nell’agone politico, si scontrò con lo snobismo della sinistra, che lo battezzò “il pupo”, ossia soggetto inesperto che non ha nessuna chance di farcela. Invece il Cavaliere fondò dal nulla un partito destinato a diventare egemone e a mietere consensi da Nord a Sud. Tale egemonia durò vent’anni e ancora oggi Berlusconi, sebbene FI sia ridimensionato, appare inscalfibile.
E cosa dire di Matteo Salvini? Neppure i suoi familiari si sarebbero aspettati una riuscita tano straordinaria. Egli ha preso un partito minuscolo e lo ha fatto volare velocemente oltre il 30%, riuscendo a conquistare persino i meridionali, i quali fino a qualche anno fa si sarebbero fatti ammazzare piuttosto che esprimere la preferenza verso un movimento che in origine si proclamava ostile al Mezzogiorno e alla sua gente. Matteo ha abbattuto un pregiudizio e ha dato alla Lega un respiro nazionale.
Ma la più sminuita in assoluto è stata Giorgia Meloni: pure i suoi alleati l’hanno sempre reputata una pulce non temibile, anche se ora si stanno ricredendo un po’ tutti quanti, a destra e a sinistra. Fratelli d’Italia, che alle elezioni del marzo 2018 aveva ottenuto il 4,4%, in due anni ha superato il M5s e si attesta al 15-16%, stando ai sondaggi.
Il merito è tutto di questa signora dalla dialettica tagliante, la quale non resta mai senza parole e non assume mai posizione ambigue. Giorgia piace poiché è sempre chiara. Pure su di lei in pochi nel Belpaese avrebbero scommesso, però il quotidiano britannico The Times lo scorso gennaio ha inserito la leader di Fratelli d’Italia nella classifica delle 20 persone che potrebbero incidere in modo determinante sulle sorti del globo nel corso del 2020. Anno che ancora non è terminato.
Ne potremo vedere delle belle.