Sono ambivalenti i nostri sentimenti verso il dispositivo di protezione individuale, ossia la mascherina, di cui ci libereremo, almeno all’aperto, da lunedì prossimo. C’è chi è ben lieto di sbarazzarsi di questo strumento che nasconde e costringe naso e bocca, ostacolando non poco respirazione e comunicazione. E c’è pure chi vive con agitazione l’idea di rinunciare a qualcosa che da oltre un anno gli infonde un senso di sicurezza e che, prima della distribuzione dei vaccini, ha costituito l’arma fondamentale per contrastare la diffusione del contagio da coronavirus.
Basta fare un giro per strada per accorgersi che le due fazioni più o meno si equivalgono numericamente: facile incontrare individui che già ora, spavaldamente o come se niente fosse, tengono la mascherina abbassata e altri che ne indossano non una bensì due, lanciando occhiatacce e qualche volta imprecazioni verso gli indisciplinati. Non ci libereremo mai del tutto di questo pezzo di stoffa, che ci piaccia o meno. In tanti seguiteranno ad adoperarlo pure quando ci saremo lasciati il covid-19 alle spalle, proprio come accade in alcuni Paesi asiatici, ad esempio la Cina, dove, a causa delle pestilenze del recente passato, gran parte della popolazione ricorre a questi mezzi profilattici al fine di scongiurare infezioni varie ed eventuali. Certo, per noi occidentali, la mascherina è stata una novità piovutaci addosso nel febbraio del 2020.
E ancora a marzo del medesimo anno gli esperti la sconsigliavano o ne dichiaravano l’inutilità invitando addirittura la gente a non usarla per non diffondere il panico creando un pericoloso senso di allarme nei confronti di quella che sembrava essere “poco di più di una banale influenza” (sic!). Basti ricordare gli attacchi subiti dal presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana allorché, in diretta televisiva, mentre era collegato dal suo ufficio si posizionò sul volto il dispositivo, che prima di allora da queste parti portavano solamente i chirurghi in sala operatoria e i turisti cinesi incrociati per le vie del centro, i quali suscitavano spesso la nostra ilarità per quello che ci appariva un eccesso.
In un battibaleno siamo passati da “la mascherina non serve a un tubo” a “della mascherina non possiamo fare a meno”. E coloro che rientrano in questo ultimo partito non prendono bene il fatto che tra qualche giorno uomini e donne se ne andranno a zonzo a viso scoperto e non li si potrà neppure offendere per il loro menefreghismo e la loro insolenza, come sovente accade. Ebbene sì, finalmente abbiamo tutto il diritto di passeggiare non foderati, di fare respirare pelle e polmoni, di mostrare il nostro sorriso, di non soffocare. Intanto monta l’ansia nel petto di chi soffre di fobia sociale o anche di ipocondria.
La mascherina appanna gli occhiali, da vista e da sole, fa colare il mascara, aumenta la sensazione di calore, toglie ossigeno, ostruisce i pori, tuttavia ripara da sguardi indiscreti, rassicura, permette di occultare qualche difetto, fa passare inosservati, rende persino irriconoscibili, e questo non disturba affatto i timidi cronici o gli asociali, quelli che nell’isolamento forzato, nel distanziamento, nell’anonimato hanno ravvisato una dimensione ideale, dove non hanno dovuto più preoccuparsi del loro aspetto, del giudizio di una società ipercritica, del contatto diretto con l’altro, generatore di disagio.
Questa nutrita fetta di popolazione vede nel dispositivo di protezione individuale una sorta di psicologica barriera di sicurezza. È un po’ la metafora del supereroe, il quale, pur essendo uno sfigato nella vita di tutti giorni, mascherato diviene potente e può essere ciò che vorrebbe essere o ciò che è o forse ciò che non è. Ma la vera conquista, in fondo, è e resta strappare via ogni tipo di travestimento.