Mentre le donne occidentali scelgono sempre più di frequente di non sposarsi e il matrimonio costituisce sempre meno un obiettivo esistenziale intorno al quale edificare tutta la propria vita, ad un passo da loro, nel medesimo Occidente che si dice civile e prospero, giovani musulmane vengono costrette alle nozze. Si tratta di bambine ritirate dalla scuola dell’obbligo e addestrate tra le mura domestiche a divenire mogli sottomesse e ubbidienti allo scopo di servire il maschio islamico, il quale è convinto che la femmina sia stata creata per fargli da schiava e che non goda di alcun diritto, neppure quello più elementare.

Questi universi antitetici riescono a convivere in uno stesso territorio senza intaccarsi per due elementi fondamentali: da un lato, le comunità islamiche sono impermeabilmente sigillate, non interessa loro integrarsi, conoscerci, assorbire i nostri usi, rispettare le nostre regole; dall’altro, noi stessi, che pure ci riempiamo la bocca di termini quali “assimilazione” e vorremmo regalare la cittadinanza ritenendola scioccamente uno strumento per superare le insormontabili differenze culturali, non ci curiamo della drammatica realtà vissuta da migliaia e migliaia di immigrate. Siamo indifferenti alla loro sorte. Nella nostra visione il migrante è sempre vittima di qualcosa e di qualcuno, mai carnefice. E si tende a giustificare, a comprendere, a graziare persino le condotte più immonde.

Tale clima non aiuta di certo le minori che ogni anno vengono obbligate a prendere marito, a giacere con un uomo che non hanno scelto e che le disgusta, a diventare precocemente madri, ad essere utilizzate a piacimento del consorte, su delibera del padre-padrone. La storia di Saman, ammazzata dai familiari poiché non si assoggettava alla loro volontà, ha acceso i riflettori su una problematica troppo a lungo ignorata. Il tragico epilogo è comune, lo ritroviamo in altri fatti di cronaca i cui protagonisti si assomigliano. C’è la ragazza islamica che si sottrae al sodalizio e ci sono i parenti di lei che non tollerano questo oltraggio, questo disonore, che viene cancellato con il sangue, ossia annientando lei, facendola sparire, strangolandola, seppellendola, meglio se con i piedi rivolti verso la Mecca.

Purtroppo le conseguenze economiche e sociali della pandemia hanno prodotto una lievitazione del numero di nozze forzate e non soltanto nell’Asia meridionale e nell’Africa centrale, ma anche in Italia. Dal 9 agosto del 2019 al 31 maggio del 2021 i reati di costrizione o induzione al matrimonio sono stati 24 sul nostro territorio, 9 solamente tra gennaio e maggio di quest’anno (dati Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Servizio Analisi Criminale, Ministero dell’Interno). È bene puntualizzare che il fenomeno è soprattutto sommerso, i casi che vengono a galla e denunciati sono pochi in quanto queste ragazzine, nate e cresciute in nuclei familiari connotati da forte cultura patriarcale, raramente chiedono aiuto, sia per scarsa consapevolezza sia per timore di ritorsioni. Un terzo delle vittime non ha raggiunto neppure la maggiore età. La nazionalità preponderante è quella pachistana. Le minorenni patiscono questa imposizione soprattutto nelle regioni del Nord, dove sono più copiose le comunità di extracomunitari. Se oggi codesti delitti stanno venendo finalmente a galla è grazie alla introduzione nel “Codice Rosso” (L.69/2019), voluto dalla Lega allorché era al governo con il M5s, del reato di costrizione o induzione al matrimonio, al fine di contrastare il fenomeno in questione.

La nuova fattispecie, prevista dall’art. 558 bis del codice penale, punisce da uno a cinque anni chiunque, con violenza o minaccia, costringa una persona a contrarre matrimonio o unione civile o, approfittando delle sue condizioni di vulnerabilità o di inferiorità psichica o di necessità, la induca a contrarre matrimonio o unione civile. Il reato è punito pure quando è commesso all’estero da cittadino italiano o da straniero residente in Italia ovvero in danno di cittadino italiano o di straniero residente in Italia. Ecco perché donare la cittadinanza non può essere considerata la soluzione al problema, sebbene la sinistra sfrutti sfacciatamente tali vicende per promuovere lo ius soli. 

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