Un acceso dibattito infiamma tv, giornali, radio e social network. Da un lato ci sono coloro i quali sostengono che dovremmo farci i fatti nostri, se così si può dire, quindi non inviare armi agli ucraini, impegnati in una sanguinosa resistenza, e tenerci alla larga da un conflitto che, in fondo, a loro giudizio, non ci riguarda, evitando di farci fagocitare all’interno di quella che potrebbe divenire in un battibaleno la terza guerra mondiale. Dall’altro lato ci sono quelli che, invece, ritengono che non si possa restare indifferenti davanti ai fiumi di sangue che Putin sta facendo sgorgare a pochi chilometri da noi, nel cuore dell’Europa, e che la nostra inerzia non farebbe altro che rafforzare il presidente russo, il quale di giorno in giorno dimostra con maggiore evidenza di avere smarrito irreversibilmente il senno. Bene. Cioè male.

Entrambe le posizioni non sono errate, poiché nascono da ragionamenti validi, i quali tuttavia non tengono conto del fatto che Putin non è, o non è più, lo statista ragionevole e affidabile con il quale si possa discutere e il cui agire si possa prevedere. Putin ha dichiarato di interpretare come atto di guerra persino le sanzioni economiche, quindi pure e soprattutto il sostegno militare fornito sotto forma di strumenti bellici al popolo aggredito. Ha già pronta e confezionata la sua scusa per aggredire qualsiasi Stato si intrometta in quello che egli ritiene essere un affare esclusivamente suo, o tra lui e il popolo ucraino, massacrato con un sadismo e una spietatezza senza eguali.

Del resto, già il 24 febbraio, giorno della invasione dello Stato sovrano Ucraina, il bullo russo ha minacciato l’intera comunità internazionale, paventando “cose mai viste prima nella storia” per chiunque intervenga ostacolandolo. Ma pure starsene con le mani in mano e lasciare che gli ucraini vengano macellati non fa altro che dare forza a Vlad avvalorando il suo convincimento di essere forte e invincibile, temuto da tutti e capace quindi di estendere la sua sfera di influenza contando sul timore che suscita, servendosi quindi della intimidazione e di una violenza micidiale. Una vittoria facile, per lui.

Che ci piaccia o meno, a prescindere da ciò che noi decidiamo di fare, Putin ha già il suo piano in testa. E sarebbe da ingenui credere che egli non abbia già preventivato ogni nostra possibile reazione. Putin vuole la guerra. Per questo l’ha fatta. E non esiterebbe ad estendere il conflitto, indipendentemente dal nostro modo di agire. Ficchiamocelo in testa: Putin vuole la guerra. Non la pace.

Tra il non intervento e l’intervento, quantunque non diretto, tanto meglio questa seconda strada, non soltanto per ragioni umanitarie, ossia per il dovere morale di non lasciare il popolo violentato da solo, ma ancora di più per ragioni tattiche: la resistenza dell’Ucraina è la resistenza dell’Occidente tutto contro la minaccia Putin. Se l’Ucraina cede, si arrende, è tutto l’Occidente a mostrare la propria debolezza davanti al russo, il quale ha dichiarato guerra all’Occidente intero, basti ascoltare i suoi discorsi, e, peraltro, Vlad conta sulla fragilità del mondo occidentale, percepito quale mondo in decadenza. Insomma, dal momento che qualsiasi cosa facciamo non possiamo evitare che Putin metta a segno le sue prestabilite mosse, tanto vale fare in modo che l’Ucraina non sventoli bandiera bianca davanti all’invasore. La sua resa non produrrebbe affatto, al contrario di ciò che tanti si aspettano, pace. L’ucraina diventerebbe territorio occupato dai russi, in preda a conflitti, tensioni, terrore, russi i quali potrebbero seguitare ad espandersi verso la Moldavia.

Il comportamento di Putin è quello di un pazzo scatenato, quindi non è prevedibile. Prescindendo dal nostro comportamento, egli troverà sempre “ragioni” per continuare il suo folle massacro, proprio come ha trovato le “ragioni” per cominciarlo.

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