Come un bimbo imbronciato e appena sgridato dalla mamma per l’ultima marachella commessa, se ne sta appoggiato al muro scrostato, con lo sguardo mesto rivolto in basso, quasi che aspettasse una carezza. I capelli argentati, le rughe che paiono tagli verticali ai lati della bocca, la pelle arida e abbrunita dal troppo sole ci raccontano invece di un’esistenza trascorsa faticando su campi impervi e terrazzati, che sprofondano in burroni, zappando e rimestando la terra per poi seminarla, in attesa che essa, grata per quelle amorevoli cure, faccia dono più in là dei suoi nobili frutti. È abbigliato con la modestia di chi non può permettersi granché e alla stesso tempo con la dignitosa eleganza di crede ancora che mostrarsi al meglio sia un sacrosanto dovere nei confronti degli altri e soprattutto di se stessi e risparmia il vestito buono per la domenica, l’anziano ritratto in una fotografia divenuta virale sui social network.

Tra immagini di corpi giovani, muscolosi, seminudi che impazzano sul web, attirando milioni di like, risulta quasi stonata la figura di un vecchio contadino che con tanto di bilancia adagiata sul marciapiede propone ai passanti le sue nespole al margine della strada di un paesino del profondo Sud d’Italia. Siamo a Civita, in provincia di Cosenza, 912 anime, tra le quali quest’uomo, immortalato dall’obiettivo di un fotografo per passione, il trentottenne Francesco Mangialavori, il quale trovandosi di passaggio in quella stretta via è rimasto teneramente colpito dall’umiltà del canuto signore.

Sono apparizioni che facilmente si offrono alla vista di chi abita nel Mezzogiorno e per questo consuete e addirittura scontate. Ma non per l’occhio del forestiero più attento, che coglie in tali visioni tutta la loro straordinaria bellezza. Ed è anche allorché dal Meridione ci si stacca che emergono più dal cuore che dalla mente cari ricordi: i coloni che ogni domenica scendono dall’Aspromonte in città per racimolare qualche soldo offrendo i loro prodotti, che cambiano al mutare delle stagioni. Ciò che non manca mai è il pane di grano, profumato, cotto nel forno a legna. Acquistarlo andando a casa della nonna per il pranzo domenicale era per noi un’abitudine divenuta rito. L’ambulante spesso offriva qualcos’altro: ricotte, pecorino, olive, salame. E nei giorni in cui ci recavamo in montagna, era facilissimo imbatterci in piccoli agricoltori locali che mettevano in vendita ogni sorta di ben di Dio ai lati dei viali alberati: patate, cavoli, fave, fagioli, ceci, zucche, zucchine, castagne, noci, cipolle, more, ciliegie.

Oggi vedo lo scatto di Mangialavori e mi accorgo di conoscere il pensionato che vi è impresso. Non l’ho mai veduto, eppure so chi è. L’ho incontrato milioni di volte e mai mi ero soffermata sulla bellezza delle sue mani consunte dal lavoro, intrapreso fin da bambino e mai più sospeso, mai mi ero resa conto di quanta decoro ci fosse nel suo sguardo stanco né di quanto signorile fosse il suo abito, magari rammendato cento volte ma pulito. “La dignità è al sommo di tutti i pensieri ed è il lato positivo dei calabresi”, sosteneva lo scrittore Corrado Alvaro. Una dignità che tracima addirittura in eccesso di orgoglio. E accanto ad essa c’è la generosità, che caratterizza il cittadino meridionale.

C’è un Sud afflitto dalla piaga della disoccupazione endemica, che in certe zone tocca punte del 60%. Un Sud da cui è arduo persino uscire, che appare isolato, emarginato, confinato nella periferia per mancanza di infrastrutture. C’è anche un Sud quasi rassegnato, che ormai non cerca più di emanciparsi dal sottosviluppo ed ha imparato a convivere con miserie e difficoltà, barcamenandosi alla meno peggio. E poi c’è un Sud che non si arrende, che si rimbocca le maniche, che suda e non dispera. È quello del vecchietto di questa fotografia.

Ieri pomeriggio ha sistemato dentro le cassette di plastica la sua mercanzia, l’ha raccolta lui stesso con le sue dita nodose nel piccolo pezzetto di terreno che coltiva da sempre. Poi è andato a letto covando nel petto l’auspicio di smerciare quei pochi chilogrammi di frutta fresca. All’alba si è caricato sulle spalle la roba e, come fa da una sessantina d’anni, è sceso in strada, dove ha sostato tutto il giorno, in piedi, sull’attenti come un soldatino in borghese, sotto il sole di giugno che dalle 11 alle 16 infierisce crudelmente e non dà tregua. Gli basterà rincasare con le ceste vuote. Gli basterà poco. Per essere felice.

Articolo pubblicato su Libero il 23 giugno del 2019

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