Salvini lo attende come fosse il giorno della verità e della libertà. Il fatidico giorno è il 3 ottobre, quando si celebrerà a Catania la prima udienza del processo che vede il leader della Lega seduto sul banco degli imputati come sequestratore di persone. L’accusa a carico di Salvini è appunto sequestro di persona, reato disciplinato dall’articolo 605 del codice penale, il quale stabilisce che “chiunque priva taluno della libertà personale è punito con la reclusione da sei mesi a otto anni”.

Se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale, con abuso dei poteri inerenti alle sue funzioni, la pena della reclusione va da uno a dieci anni. Dunque il capo del Carroccio rischia la detenzione fino a un decennio per avere difeso l’interesse nazionale nonché i confini dello Stato sovrano Italia da una massiccia ed incontrollata immigrazione illegale, ovvero clandestina, che – come testimoniano i dati – affligge il Belpaese da molto tempo.

Tuttavia codesta accusa non sta in piedi. Infatti, affinché acquisisca sussistenza e si configuri il reato suddetto, la norma richiede il dolo generico, ovvero la coscienza e la volontà da parte di colui che pone in essere la condotta incriminata di privare il soggetto passivo, in tal caso i clandestini, della libertà personale e di movimento.

Eppure nella vicenda in esame sono assenti coscienza e volontà specifiche da parte dell’ex ministro dell’Interno di spogliare della libertà gli immigrati in quanto è evidente, conclamato, dichiarato in quella circostanza nonché da sempre che l’obiettivo dell’azione di Salvini era, ed è tuttora, quello di porre un argine alla immigrazione irregolare e non quello di recare nocumento a persone che egli neanche conosceva.

Matteo intendeva spezzare una prassi consolidata che ha reso il nostro territorio aperto ed accessibile a chiunque. Consuetudine che mina la configurazione giuridica dell’Italia quale Stato componente del sistema internazionale, in quanto tre sono gli elementi costitutivi essenziali dello Stato: popolo, territorio (delimitato da confini) e sovranità. Ove anche uno solo di questi manchi, l’entità statale cessa di esistere.

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