di Fabrizio Maria Barbuto
Si estende 22 metri al di sopra della Statua della Libertà, 65 dell’Arco di Trionfo, 19 del Big Ben e 42 del Taj Mahal, ma non è un monumento edificato dall’uomo, bensì dalla natura. Stiamo parlando di Hyperion, l’albero più alto al mondo.
Quest’imponente Sequioia sempervirens si eleva a ben 115,66 metri dal suolo e, perfino in fotografia, dà le vertigini prendere coscienza della sua possanza. Il “capolavoro agreste” fu scoperto l’8 settembre 2006 dai biologi Chris Atkins e Michael Taylor i quali, al fine di tutelarlo dalla pervasiva e invadente curiosità dell’uomo, non hanno mai rivelato la sua esatta posizione all’interno del Parco Nazionale di Redwood, nel nord della California.
Ma non sono pochi gli avventori che, animati dal proposito di scovare il leggendario organismo vivente, si avventurano lungo i più tortuosi sentieri della foresta con gli occhi puntati all’insù, nello strenuo tentativo di misurare a vista l’estensione delle sequoie più alte e, tra centinaia di giganti, scorgere finalmente lui, il più maestoso di tutti. A fargli concorrenza – senza riuscire ad eguagliarne la statura – sono alberi conosciuti come Icarus (113,10 metri), Stratosphere Giant (112,94) e Mendocino (112,30).
Percorrere il bosco non aiuta ad individuare Hyperion, ma l’impresa riesce più semplice se affidata al drone: le immagini catturate dall’alto mostrano un fiero fusto elevarsi al di sopra di tutte le altre specie botaniche mentre, il fogliame di queste, sembra tingersi di verde per l’invidia verso il fuoriclasse della selva.
L’altezza non è l’unico numero a sbalordire: i biologi ipotizzano che Hyperion abbia ben 1.260 anni, e nonostante l’età suoni più che ragguardevole, non fa di lui l’albero più antico al mondo.
A detenere questo primato è un altro celebre arbusto che ha ben 4.700 anni: un albero di pino (soprannominato “Methuselah” in onore al patriarca biblico dalla proverbiale longevità) che affonda le sue radici nella catena montuosa della California.
L’argomento “record” impone una menzione anche a quello che, ad oggi, si classifica quale albero più grande al mondo in termini di volume, ovvero la sequoia gigante situata nel Sequoia National Park (California): “General Sherman”. L’altisonante nome la dice lunga sulla maestosità di quest’albero dai 1.500 metri cubici, il cui diametro supera gli 11 metri.
Fu scoperto nel 1879 dal naturalista James Wolverton, il quale lo ribattezzò General Sherman in onore di un generale della Guerra di secessione americana. E quella che gli alberi sono oggi chiamati a condurre, difatti, è una vera e propria guerra contro il riscaldamento globale che minaccia di alterare la loro fascia climatica ideale. Ma vi è un altro grande nemico cui, le antiche sequoie, devono loro malgrado soggiacere: il disboscamento. Esso, negli ultimi 50 anni, ha determinato la disfatta di migliaia di esemplari arborei che oggi avrebbero fatto capolino nella lista dei record, magari superando la statura di Hyperion e il volume di General Sherman.
Viene voglia di cingerli in un abbraccio questi doni del creato che, con la loro millenaria solidità, ricordano di come sia possibile attingere da sé le risorse per risistere a tutto: vento, pioggia, caldo, freddo. Noi che ci volgiamo agli eroi di celluloide quali modelli di vita emulandone abitudini, gesta e grinta, forse non ci accorgiamo di come, i veri esempi di magnificenza, sia la natura stessa ad offrirli: ce li pone davanti con il tacito invito a ricalcarne il polso, la tenacia ed il vigore, ma ci limitiamo a cercarli nella foresta per il semplice ed effimero piacere di ribadire, a chi ci ascolta sbalordito: «Io l’ho visto».
Fabrizio Maria Barbuto
Articolo pubblicato su Libero il 19 giugno 2020