“Ma l’Ordine dei giornalisti della Lombardia che ha deferito Selvaggia Lucarelli è lo stesso ordine a cui è iscritto Matteo Salvini? Perché non l’ho visto agitarsi quando Salvini su Fb ha messo alla gogna tre minorenni. Perché due pesi e due misure?”, ha cinguettato l’ex presidente della Camera Laura Boldrini questo pomeriggio su Twitter. Quando si tratta di prendere le difese di una donna, soltanto perché è donna, e di andare contro Matteo Salvini, soltanto perché è Matteo Salvini, Laura Boldrini non manca mai.

Si fece sostenitrice dell’attrice Asia Argento, la quale raccontò di essere stata stuprata dal produttore Henry Weinstein una ventina di anni prima, ma neanche una parola quando si seppe che Argento pagò al giovane Bennett la somma di 380 mila dollari nell’aprile del 2018 affinché egli tacesse riguardo le molestie sessuali che il ragazzo dichiarò di avere subito da parte di Asia allorché egli era minorenne ed ella 37enne.

Boldrini assunse le difese pure del sindaco di Roma, Virginia Raggi, contro Libero, reo di avere titolato: “La patata bollente”, con riferimento alle vicende che in quei giorni stavano sconvolgendo la giunta capitolina. “Piena solidarietà alla sindaca di Roma per l’inaccettabile volgarità sessista rivoltale dal quotidiano Libero”, tuonò su Fb l’allora presidentessa della Camera, parlando anche di “becero maschilismo”, di “lesa dignità delle donne”. Tutto questo casino per un titolo innocente. Ma per Boldrini il termine “patata” era degradante. Le offese terribili che riceve la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, invece, non scuotono la deputata di sinistra. Due pesi e due misure, è proprio il caso di dirlo.

Laura si definisce scandalizzata dai concorsi di bellezza e dalla presenza in tv di due modelli femminili dominanti: “la casalinga e la donna-oggetto, possibilmente muta e semi-nuda. Da lì alla violenza il passo è breve”, affermò un po’ di tempo fa. Eppure Boldrini non può avere dimenticato che lei stessa proviene da quegli ambienti a suo giudizio indecorosi. Per Laura era accettabile qualche decennio addietro che il gentil sesso venisse esposto seminudo in tv, in perizoma e reggiseno, e che le fanciulle venissero chiamate “spogliatelle” e “babà”.

Era la bollente estate del 1988, Boldrini aveva 27 anni, neo-laureata in giurisprudenza con tesserino da giornalista pubblicista, era entrata in Rai con un contratto a tempo determinato come assistente di produzione e lavorava all’interno di uno scanzonato programma che andava in onda su Raidue il venerdì in prima serata, “Cocco”, condotto da Gabriella Carlucci, regia di Pier Francesco Pingitore.

Il programma, un “Drive in” dei poveri, quintessenza della scollacciata tv berlusconiana anni Ottanta, si apriva con la divertente sigla: “Cocco, cocco, io ti voglio, io ti ho nel pensiero, io ti voglio per me”. E dall’inzio alla fine era un tripudio di corpi femminili che si dimenavano a ritmo di musica dance e in abiti succinti. Tali balli venivano interrotti da giochi demenziali e dalle performance della Cocco band, incorniciate dalle “spogliatelle” e dalle “babà”, le modelle scosciate che facevano parte del cast.

Insomma, per Boldrini “patata bollente” è offensivo”, mentre “spogliatelle” e “babà” no.

Ma quella di oggi, che si irrita davanti alla cosiddetta “mercificazione del corpo femminile” in tv, è la stessa Laura Boldrini che lavorava nel programma Cocco o è un’altra Laura Boldrini?

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