Il livello di democraticità e di civiltà di un Paese si misura anche dall’importanza e dalla tutela che esso riconosce alla libertà di stampa. E sotto questo profilo l’Italia non è messa molto bene, anzi potremmo affermare che è messa malissimo, se consideriamo che, in base alla classifica mondiale che rileva tale indice, diffusa ogni anno da Reporters San Frontiers, associazione internazionale in difesa dei giornalisti di tutto il globo, la nostra penisola si trova al quarantunesimo posto, addirittura dopo Nazioni africane quali Ghana, Burkina Faso, Botswana e Namibia.

L’indagine sottolinea che “sono circa venti i giornalisti italiani che attualmente vivono sotto protezione a causa delle gravi minacce subite dalla mafia. Tale violenza continua a crescere, soprattutto a Roma e nel Mezzogiorno. Inoltre si segnalano casi di violenza fisica e verbale nei confronti di giornalisti da parte di gruppi neofascisti e sostenitori del Movimento Cinque Stelle, che è parte della coalizione di governo. Nel complesso, i politici italiani sono meno virulenti verso i giornalisti rispetto al passato, però il giornalismo rischia di essere minato da alcune recenti decisioni dell’esecutivo, come una possibile riduzione dei sussidi statali ai media”.

Lo studio, purtroppo, trascura gli attacchi, sempre più frequenti, patiti dai cronisti che non si piegano al conformismo intellettuale progressista, attacchi sferrati addirittura dai medesimi colleghi, che sono i più accaniti, i quali, pur dovendo difendere e rappresentare la libertà di pensiero e di espressione, finiscono con il soffocare questi valori sacrosanti con la convinzione di essere depositari di verità assolute e incontrovertibili o che il loro punto di vista sia l’unico degno di essere proposto ai lettori. Certe testate arrivano a condurre delle vere e proprie campagne diffamatorie nei confronti di un collega impiegato in un altro foglio, con un accanimento e una ferocia che generano sconcerto e che di sicuro non rendono onore soprattutto a chi le promuove. Del resto, la penna dovrebbe essere adoperata per il bene collettivo e non per sfogare frustrazione ed acredine personali.

Tutto ciò fa male al giornalismo, che è una missione e non può né deve trasformarsi in bullismo. Eppure se insulto, diffamazione, ingiuria e odio sono indirizzati ad un giornalista di destra, non producono scandalo e indignazione, l’Ordine stesso si astiene dall’intervenire in difesa del soggetto bersagliato. Ed è proprio questa tolleranza, anzi questa tacita complicità, ad avere reso legittima tale condotta esecrabile che troppo nuoce alla categoria. Al fine di non contribuire a codesta inarrestabile deriva io stessa mi astengo dal rispondere con altrettante offese alle battute di scherno, ai tentativi di demolire la mia professionalità agli occhi del pubblico, agli improperi in radio e sui social network che ormai quotidianamente ricevo dai colleghi. Non ricorro al turpiloquio, non scado nell’insulto, non alzo i toni, limitandomi ad invitare coloro che mi prendono di mira a contestare non la mia persona, bensì il mio punto di vista, esponendo il proprio e non distorcendo strumentalmente il mio.

Non è una problematica di scarsa rilevanza quella che stiamo denunciando. La libertà di stampa è strettamente collegata ad altre libertà fondamentali e il grado di salvaguardia ad essa accordato ci dice tanto dello stato di salute della democrazia. I partiti al potere, e mi riferisco in particolare ai cinquestelle, con il loro giustizialismo ottuso e la rabbia manifestata verso taluni giornali, rei di narrare i fatti, con la evidente allergia al pluralismo delle voci, con i loro tentativi di intimidazione nei confronti degli operatori della informazione (la sottoscritta è sotto indagine dopo la querela presentata contro di lei dal sottosegretario grillino al ministero dell’Interno Carlo Sibilia per un articolo in cui sono riportate fedelmente le dichiarazioni del pentastellato), non sono una disgrazia, piuttosto sono lo squallido riflesso della società attuale, dove a sostenere la repressione della libertà di espressione e la censura sono per primi i giornalisti medesimi.

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