Qual è la cosa più spaventosa che potrebbe capitarti? Ci hai mai pensato? Ognuno di noi ha le sue fobie, più o meno piccole o più o meno grandi, dipende dai punti di vista. Io ammetto senza imbarazzi di avere le mie, quantunque sia restia a confessarle tutte. Ve ne dico una, con la quale mi scontro ogni volta che devo lasciare Milano, che considero la mia casa, il mio rifugio, il luogo che amo di più al mondo, dove per la prima volta mi sono sentita veramente libera e felice. Anche se la meta da raggiungere è e mi appare alquanto allettante, qualche giorno prima comincio ad accusare i sintomi di quella che è la paura di staccarsi dalle proprie sicurezze e ritrovarsi lontano.
Ho sfidato negli ultimi mesi questo timore, prenotando viaggi due giorni prima della partenza, anche facendo biglietti aerei non rimborsabili qualche ora prima di un volo, al fine di non darmi scappatoie. Eppure sarei disposta a perderci quattrini e restare dove mi sento al sicuro. Poi sono sempre partita ma non per evitare di buttare denaro, piuttosto perché non avrei mai sopportato di sentirmi sconfitta, vinta da me stessa e dalle mie paure, di dare a queste ultime il sopravvento, permettendo loro di condizionare la mia vita.
Sì perché le paure ci condizionano. Possono determinare un intero percorso esistenziale, bloccarlo, limitarci, non farci mai sbocciare né scoprire aspetti di noi stessi che ancora non conosciamo, o cose del mondo, possono influire sugli incontri a noi destinati, non farci evolvere, toglierci opportunità. Ecco il motivo per il quale, se vogliamo essere felici, ci tocca vincere i nostri veri e unici nemici: i nostri timori. Non ne esistono altri.
Lasciata la zona di comfort, la quale può coincidere con un luogo, una casa, un lavoro da cui traiamo sicurezze ma che non ci appaga, una relazione che si protrae da anni, anche tanti, e che non ci soddisfa più, anzi ci tira fuori il peggio e ci fa stare male, ma chiudere la quale ci terrorizza poiché ci fa sentire disorientati, persi, incapaci di ricominciare, scopriremo che il segreto di una vita prospera e serena risiede nel nostro coraggio di mollare gli ormeggi e prendere il largo, dunque di andare incontro al nuovo, senza seguitare a dribblarlo ostinatamente.
Ieri, accingendomi a partire, ero alle prese con quelle paure che mi rendono a momenti un po’ più fragile, quando ho appreso la notizia di quei due astronauti statunitensi, Butch Wilmore e Sunita Williams, giunti alla Stazione Spaziale Internazionale lo scorso giugno scorso, quando qui sul pianeta Terra la guerra in Medio Oriente non si era ancora allargata, il candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti non aveva ancora subito quell’attentato da cui è uscito illeso, i Mondiali non erano ancora iniziati, Pamala Harris non aveva ancora sostituito Joe Biden nella corsa verso le elezioni presidenziali, Ursula von der Leyen non era ancora stata rieletta a capo della Commissione europea. I due avrebbero dovuto trattenersi nello spazio per qualche giorno, circa una settimana, invece sono ancora bloccati lassù e ora guardano questo luminoso pianeta, che dal di fuori pare pacifico e silenzioso, volteggiare lentamente nell’Universo scuro, senza potervi fare ritorno.
Non riesco ad immaginare sfiga più grande. Insomma, si rompe la navicella spaziale (chiamiamola così, giusto per rendere l’idea) e non trovi un meccanico nel raggio di miliardi di anni luce, ti tocca fare da solo e confidare che da laggiù qualcuno riesca a risolvere il brutto affare.
E ora arriva il bello: Butch e Sunita potrebbero ritornare sulla Terra nel 2025, se tutto va bene, precisamente nel febbraio del 2025, stando alle più rosee previsioni, essendo appunto emersi problemi con il veicolo spaziale usato nel viaggio di andata, che adesso non risulta sicuro per il viaggio di ritorno.
La Nasa fa sapere che i due sono tranquilli, sereni, quasi contenti ed eccitati all’idea di trascorrere estate, autunno e inverno, Natale e capodanno inclusi, al di fuori dell’atmosfera, senza alcuna possibilità di vedere e abbracciare amici, parenti, mangiare qualcosa di decente, dormire nel proprio letto, andare al bar a bere un caffè, stare al sole o sotto la pioggia, respirare a pieni polmoni, fare una corsetta all’aria aperta, fare l’amore, vivere al di fuori di quello spazio angusto nel quale si muovono a tentoni.
Ma chi ci crede? Questi due saranno disperati e incazzati neri che più neri non si può e magari avranno tanta voglia di prendere a calci le pareti del velivolo, se solo ci fosse la gravità.
Tuttavia, la notizia mi ha come confortata. Insomma, io posso sempre prenotare un volo di ritorno, il primo disponibile, e rientrare a casa nel giro di due ore al massimo, se ne ho proprio desiderio. E se l’aereo non dovesse partire, prenderei il treno, e se il treno non dovesse partire, prenderei la macchina, fosse anche la biciletta, sono sempre libera di muovermi. Ed è così sciocco che io abbia paura di lasciare quella comfort-zone in cui, se mi va, posso sempre tornare.
In fondo le nostre sicurezza dovrebbero stare tutte dentro di noi. E seguirci ovunque. Fosse pure nello spazio.