A piccoli passi percorrono quei metri che le condurranno ad un altare che sarà il patibolo in cui verranno sacrificati i sogni infantili, abbandonate le bambole, le innocenti risate, ogni speranza. È repentino il passaggio dall’infanzia all’età adulta per 15 milioni di bambine (una ogni 7 secondi), che annualmente nel mondo vengono date in spose a uomini adulti, che le plasmeranno a piacimento, adattandole alle proprie pretese, piegandole come inermi fiori ai loro spregevoli desideri.
Per molte di esse il giorno del matrimonio coincide con quello della fine, perché non riescono a sopravvivere alla prima notte di nozze. Mentre i familiari, autori dei sodalizi forzati, festeggiano, i sorrisi delle giovani mogli si spengono ed il candore delle loro vesti fa a pungi con il loro sguardo cupo nonché con il sudiciume di quelle mani che a breve le violeranno, con la prepotenza di chi esercita nient’altro che un suo sacrosanto diritto.
Valgono meno di niente le spose bambine.
Secondo gli ultimi dati dell’Unicef, nel mondo 700 milioni di donne si sono accasate prima di avere compiuto 18 anni e più di una su tre prima dei 15. I tassi più alti di matrimoni infantili sono in Africa sub-sahariana, dove 4 ragazze su 10 hanno messo su famiglia ancora minorenni. Seguono America latina, Caraibi, Medio Oriente e Nord Africa. A livello globale un’adolescente su 7 è attualmente coniugata. Se il numero di nozze precoci crescerà ai ritmi attuali, nel 2030 avremo 950 milioni di donne maritate in tenera età.
Un fenomeno che ci riguarda da vicino. Persino nella nostra società allergica ai legami, dove i matrimoni sono in costante diminuzione, migliaia di bimbe vengono date in spose.
“Non abbiamo dati certi riguardo questa pratica, che in Italia è quasi del tutto sommersa, salvo rari casi in cui le bambine trovano il coraggio di opporsi alle nozze obbligate”, ci spiega Souad Sbai, già deputata del Pdl, ora presidente di Acmid-Donna onlus, associazione che tutela i diritti delle musulmane in Italia. Sbai ci racconta di una delle ragazze di cui si è occupata, Nosheen Butt, 17 anni, la cui madre, Begum, 46, era stata lapidata nel giardino di casa, a Novi di Modena, perché aveva tentato di salvare la figlia da un matrimonio combinato. Alla fine, ella ci è riuscita, ma a costo della vita. Coloro che cercano di sottrarsi al loro destino vengono ripudiate, talvolta uccise, in quanto costituiscono una vergogna per i familiari. Ecco perché i casi che vengono a galla sono pochi. All’interno delle famiglie musulmane vige l’omertà. Denunciare significherebbe tradire le persone amate.
Le comunità islamiche in Europa vivono genuflesse su loro stesse, legate strenuamente ai loro atavici usi, per timore di perdere la propria identità in un universo globale, folle e confuso, fatto di altre identità sempre più liquide. Mentre alcuni dei Paesi in cui i matrimoni precoci avvengono da sempre si attrezzano a livello normativo per arginare tale usanza, nel Vecchio Continente assistiamo ad una espansione del fenomeno, come fosse un rigurgito, il rabbioso urlo di orgoglio di una civiltà che emigrando non vuole correre il rischio di perire, che si oppone fiera al cambiamento, che non discetta di integrazione, escludendo la sintesi tra opposte opinioni. Nasce così una cultura nuova, più estremista, più ferma nelle sue posizioni e non disposta a negoziarle. Una sorta di mostro che divora le carni di migliaia di bimbe.
“Quest’anno il 60% delle musulmane non ha frequentato la scuola dell’obbligo, un valore aumentato del 300%. Ritengo che a queste bambine sia stato impedito di studiare per prepararle all’unico compito ritenuto a loro idoneo, ossia quello di essere mogli. Che fine hanno fatto? Sono state mandate nei Paesi di origine per contrarre matrimonio?”, continua Sbai, che la settimana scorsa ha denunciato questa situazione presso la Procura di Roma.
Ed è proprio l’ambiente scolastico quello che più di ogni altro può rappresentare un baluardo contro simili soprusi. Lo scorso aprile, a Torino, una quindicenne di origine egiziana è stata affidata ad una comunità su decisione del Tribunale dei minori in quanto la ragazza era stata promessa in sposa ad un uomo di 10 anni più grande. La giovane, che sarebbe stata a breve spedita dai genitori in Africa per raggiungere il suo futuro coniuge, si è confidata con una compagna di scuola, che l’ha esortata a chiamare il numero nazionale di Emergenza Infanzia, gestito da Telefono Azzurro. “Allontanare le bambine musulmane dalla scuola significa condannarle a morte. Consentire che questo avvenga equivale all’essere complici”, commenta Sbai.
Eppure lo Stato italiano ha mostrato grande sensibilità nei confronti dei bambini nati da genitori extracomunitari in Italia, tanto che il Governo qualche settimana fa ha persino minacciato di chiedere la fiducia sulla legge relativa allo Ius soli, ritenendo che la concessione della cittadinanza a questi minori sia vitale per un Paese allo sfascio, che non riesce neanche a provvedere al controllo dei suoi confini.
Insomma, ci preme dare la cittadinanza alle bambine musulmane, ma ce ne freghiamo se queste non frequentano la scuola e se diventano mogli e madri quando ancora dovrebbero giocare con le barbie e guardare i cartoni animati piuttosto che allattare un neonato e adempiere ai doveri di una moglie-schiava.
“Lo definiamo matrimonio precoce, al più matrimonio forzato, ma di fatto è uno stupro legalizzato che lascia su queste donne cicatrici difficili da rimarginare”, dichiara Andrea Iacomini, portavoce dell’Unicef Italia.
Dello stesso avviso è Sbai, che ritiene si tratti di pedofilia legittimata.
Le ripercussioni psicologiche sono devastanti. Al dramma di essere traditi dai propri cari, si aggiungono altri traumi: l’allontanamento dalla famiglia, il ritrovarsi nelle mani di uno sconosciuto, il rapporto sessuale, la gestazione ed il parto. Ogni anno 70 mila ragazze tra i 15 ed i 19 anni muoiono a causa di complicazioni insorte durante la gravidanza. I bambini nati da madri minorenni, inoltre, hanno il 60% di probabilità in più di perire in età neonatale (dati Unicef).
La colpa è anche nostra. Di noi che fingiamo di non vedere. Di questa Europa, di cui noi stessi facciamo parte, ossessionata dal politically correct, dalla paura di essere considerata vecchia e razzista, un’Europa ridicola che arretra per la sua smania di correre in avanti, che elimina il crocifisso dalle aule, la mortadella dalle mense, Gesù bambino dal presepe, rinnegando le sue stesse radici.
Articolo pubblicato su Grazia nell’agosto del 2017