Quando eravamo pargoletti, gli adulti ci mettevano in guardia dall’uomo nero, ossia quello sconosciuto che ci avrebbe offerto caramelle per attirarci così nella sua trappola e farci tanto male, sebbene non avessimo un’idea chiara delle nefandezze che questa sorta di orco avrebbe potuto compiere ai nostri danni. Di certo, ci avrebbe strappato via da mamma e papà, nonni e zii, portandoci nel suo antro oscuro.
Ognuno di noi è cresciuto con questa paura, inoculataci dai parenti al fine di tutelarci da eventuali pericoli. Così è maturata nella nostra mente fino a cristallizzarsi la convinzione che soltanto gli uomini siano capaci di danneggiare, ferire, rapire e abusare dei bimbi. Le donne, invece, che mettono al mondo l’infanzia, allattano, cullano e curano, non sarebbero mai in grado di arrecare nocumento ad esseri innocenti e indifesi. Baggianate.
La verità è che le femmine non sono più virtuose dei maschi. Insomma, non esiste un genere superiore all’altro neanche dal punto di vista morale. Quantunque ci sembri tuttora inaccettabile e resista nell’immaginario collettivo lo stereotipo del pedofilo di sesso maschile, persino le donne abusano di minori, i quali una volta su tre sono i loro stessi figli. Talvolta lo fanno da sole, altre volte coinvolgono il partner nei loro crimini sessuali perpetrati a danno dei fanciulli.
Dunque la donna non è sempre e solo abusata e vittima, ma anche abusante e carnefice, come ci racconta la cronaca e come testimonia il copioso materiale pedopornografico rinvenuto nel deep web dalla polizia postale in cui appaiono signore intente ad importunare maschietti e femminucce. Le pedofile ricorrono alla violenza ma usano soprattutto la dolcezza per imporre e infliggere le prevaricazioni, utilizzano oggetti o anche solo le dita per violare le loro prede inermi.
“L’approccio femminile non è coercitivo, bensì molto vicino alle tenerezze e alle coccole, ed innesca in tale modo un meccanismo ancora più subdolo di manipolazione”, spiega Maria Rita Parsi psicoterapeuta e autrice di numerosi volumi scientifici su codesto tema fin dal 1979, la quale non ha dubbi: “Sebbene costituisca un fenomeno sottovalutato, la pedofilia femminile esiste. Ed esiste da sempre”.
Tuttavia essa resta nascosta, si mimetizza come un serpente velenoso, dal momento che “il gentil sesso accede più facilmente ai corpi delle persone”. E non sempre per prendersene cura, purtroppo. Molti dei pazienti di Parsi hanno preso coscienza delle molestie inflittegli da zie, o sorelle, o madri, soltanto durante la psicoterapia, percorso intrapreso per affrontare problematiche affettive che condizionavano la loro esistenza, come la tendenza a preferire compagne dominanti, o molto più grandi, da servire quasi come schiavi e dalle quali ricevere ordini.
Ecco perché, quando si parla di pedofilia femminile, risulta difficile fissare percentuali sicure. “L’abuso viene sovente scambiato per accudimento proprio perché manca la componente dell’aggressività”, specifica Parsi, la quale ritiene che il 10% dei casi che in questi decenni le è capitato di affrontare abbia protagonisti attivi soggetti che indossano la gonna.
C’è anche chi sostiene che l’8 o il 12 per cento dei pedofili appartenga al genere femminile e chi considera questi dati sottostimati, poiché questo tipo di devianza viene a galla ancora meno rispetto a quella maschile dato che tende ad essere non riconosciuta o negata persino da chi l’ha subita, pure per motivi culturali, ossia per la tendenza generale a reputare le donne quali madri benigne, fonti di vita e di amore incondizionato.
Tale clima protetto consente alle sex offender di agire indisturbate. Raramente temono di essere scoperte e punite per i loro crimini. Godono di una sorta di intoccabilità e ne sono del tutto consapevoli. Emblematico è l’esempio dell’insegnante di Prato, la quale era addirittura sfacciata nello scrivere messaggi sentimentali, sessuali e anche di ricatto al tredicenne di cui si dichiarava e tuttora si dichiara innamorata. Non ha fatto ricorso ad alcun tipo di stratagemma per evitare che sussistessero prove della sua condotta criminosa. Ingenuità? Follia? O spavalderia derivante dalla sicurezza di essere al di sopra di ogni sospetto in quanto femmina e madre?
I suoi sms al minore erano appassionati ed espliciti: “Voglio fare sesso con te per l’ultima volta”, “Vieni subito a casa mia per fare sesso”, “Non porterò più il bambino in palestra a condizione che tu sia sempre disponibile, ogni volta che lo desidero”.
È possibile tracciare un profilo della pedofila. Parsi la descrive come una donna, la quale può essere altresì madre, single o coniugata, svalutata e che quindi tende a sminuire se stessa, insoddisfatta e a sua volta succube di questo tipo di violenze in età infantile. “Ella ripete un’ingiustizia che ha patito”, afferma l’esperta.
Altra peculiarità è la fobia di crescere, ossia di diventare grande. Rapportarsi ai piccoli è una strategia volta a consentire al soggetto di permanere nell’ambito della puerizia.
“Consiglio ai genitori di non trascurare la salute mentale dei figli, in quanto essa ha valore quanto quella fisica”, raccomanda Parsi, secondo la quale, i bimbi forniscono copiosi indizi per comunicare agli adulti i loro disagi. Tocca a noi il compito di saperli cogliere nonché interpretare.