“Con un poco di zucchero la pillola va giù”, cantava la mitica Mary Poppins, che non sapeva che con un po’ di peperoncino la pillola non serve proprio più, dato che, secondo numerosi ricercatori, la piccantezza giova alla salute ed allunga la vita.

Sembra infatti che il consumo abituale, almeno una volta al mese, di questa spezia sia associato ad una riduzione della mortalità generale. È quanto emerge da un recente studio scientifico condotto dall’University of Vermont College of Medicine di Burlington, Stati Uniti. Una ricerca simile, condotta qualche anno fa in Cina su 500 mila persone, aveva dimostrato che il peperoncino riduce il rischio di morte fino al 14%, se consumato dalle 3 alle 7 volte in una settimana.

Lo studio americano è stata condotto sulla base dei dati raccolti dal National Health and Nutritional Examination Survey (NHANES) III, che ha intervistato oltre 16 mila cittadini americani di almeno 18 anni tra il 1988 ed il 1996, i quali sono stati poi monitorati per circa un ventennio. Si è così notato che la mortalità totale tra coloro che consumavano abitualmente peperoncino era del 21,6% rispetto al 33,6% dei non consumatori.

Eppure i benefici del peperoncino non finiscono qui. Esso, infatti, favorisce il dimagrimento, accelerando il metabolismo e moderando l’appetito; protegge il cuore, riducendo il colesterolo cattivo e prevenendo il rischio di ictus e di malattie cardiache, dato che regola il flusso di sangue nelle coronarie; e costituisce un potente elisir di giovinezza. La rossa spezia possiede inoltre proprietà antibatteriche capaci di influire positivamente sulla flora intestinale nonché sostanze nutrienti, come vitamine B, C e pro-vitamina A.

Tali effetti positivi sul nostro organismo sono dovuti alla capsaicina, sostanza responsabile della sensazione di pizzicore che avvertiamo masticando il peperoncino.

Il focoso ingrediente, capace di rendere più saporita qualsiasi pietanza, inoltre, inibisce il dolore, anche quello cronico. Da uno studio pubblicato qualche anno fa sul Journal of Clinical Investigation e condotto dai ricercatori dell’University of Texas di San Antonio, USA, è emerso che nel corpo umano esiste una sostanza, chiamata TRPV1 e simile alla capsaicina, che viene rilasciata in seguito alle lesioni e si lega ai ricettori del dolore. Eseguendo esperimenti sui topi, gli esperti hanno individuato il metodo per far sì che la capsaicina non si leghi a tali ricettori, avviando così la sperimentazione di nuovi farmaci antidolorifici.

E se, da un lato, il peperoncino annulla il dolore; dall’altro, accentua il piacere. Da sempre, infatti, si attribuiscono ad esso virtù afrodisiache e si sostiene che sia capace di dare o restituire vigore al sesso maschile. In effetti, essendo questa spezia un efficace vaso dilatatore, agevola l’eccitazione, ma ha effetti anticipatori sul piacere sessuale, accelerando l’eiaculazione, dal momento che risulta irritante per la prostata, come i superalcolici e la birra.

Insomma, merita tutta la nostra riconoscenza Cristoforo Colombo, il quale importò il peperoncino in Europa dalle Americhe, dove questa spezia, chiamata “axi”, era considerata sacra ed utilizzata da millenni da parte delle popolazioni locali come medicina, come ingrediente fondamentale in riti e pozioni magiche, come afrodisiaco, nonché come strumento di punizione e di tortura.

Secondo l’Accademia italiana del peperoncino, che si propone di fare conoscere agli italiani questo ingrediente povero ma prezioso per le sue qualità, Cristoforo Colombo ed i reali di Spagna erano convinti che il pepe d’India, o pepe cornuto, avrebbe costituito un grande business, capace di produrre facili guadagni. Ma tali aspettative furono tradite sia dal fatto che la piccantissima spezia, per il suo sapore forte ed insolito, non piacque ai nobili sia perché si scoprì che la sua pianta attecchiva ovunque, persino in un piccolo vaso, e a qualsiasi condizione climatica. A tutto questo si aggiunse il giudizio categorico della Chiesa che condannò il consumo di peperoncino, in quanto capace di “suscitare insani propositi”, come affermò il gesuita Josè de Acosta.

Il peperoncino si diffuse tra i ceti popolari, per questo fu chiamato “spezia dei poveri”. I contadini del meridione d’Italia lo utilizzavano per dare sapore a piatti grami e anche per conservare la carne.

Il Novecento costituisce l’anno d’oro del peperoncino, che oggi è utilizzato ed amato in tutto il mondo. Sopravvivono vecchi riti scaramantici, in voga soprattutto nelle regioni dell’Italia meridionale, come quello di appendere corone di peperoncini vermigli dietro la porta d’ingresso della propria casa al fine di tenere lontani i nemici, l’invidia e la sfiga. Tanto vale provare.

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