Secondo l’ex premier Giuseppe Conte, i talebani sarebbero distensivi e il loro regime contraddistinto dalla moderazione. Alessandro Di Battista incoraggia il dialogo con gli estremisti che sono tornati con la forza al potere in Afghanistan, approfittando della ritirata improvvisa degli USA. Insomma, i talebani sono nostri fratelli, e con loro “occorre avviare un dialogo serrato”. In effetti, i talebani sono così distensivi ma così distensivi (più di una vacanza ai Caraibi, più di un fine settimana in un centro benessere, più di un massaggio o di una camomilla) che hanno da subito manifestato il loro volto sanguinario e intollerante compiendo rastrellamenti ed esecuzioni, sparando a caso sulla folla che cerca di opporsi al nuovo regime oscurantista, che cancellerà con un colpo di spugna i timidi progressi realizzati in questi ultimi anni nel Paese sul fronte del rispetto dei diritti umani e della emancipazione del genere femminile.
E sono proprio le donne le vittime principali dei fondamentalisti, che hanno da subito provveduto a cancellare le fotografie di signore sorridenti che comparivano davanti ai negozi di abiti da sposa. Del resto, furono i talebani ad imporre il divieto di ridere al gentilsesso tra il 1996 e il 2001. Questa e altre proibizioni sono già state ripristinate.
Sotto il regime dei talebani le donne di ogni età possono uscire di casa solo se accompagnate da un tutore maschio, devono indossare il burqa e, se dalle vesti appare anche soltanto una minima parte di caviglia, rischiano la pena di morte, o comunque possono essere picchiate da chiunque per strada. Le donne non possono truccarsi, usare profumi, smalti, creme, e neppure gioielli o pantaloni. Non è concesso loro di ridere, come abbiamo già specificato, né di portare scarpe rumorose in quanto il suono prodotto dalle suole o dai tacchi potrebbe disturbare o turbare gli uomini. Al genere femminile non è permesso di lavorare, di studiare, di tenere le finestre aperte in casa, i vetri devono essere oscurati, affinché le fanciulle vivano nelle tenebre, rinchiuse, schiavizzate. Devono accondiscendere ad ogni desiderio dei maschi, essere sempre disponibili, non sottrarsi alle voglie del marito per nessuna ragione al mondo. In caso di tradimento la pena prevista è la lapidazione, quantunque la donna sia stata stuprata e non abbia volontariamente scelto di giacere con un altro uomo. Chi nasce femmina non può stringere la mano a chi è maschio né guardarlo negli occhi. Insomma, le donne in Afghanistan non godono più di alcun diritto, sono ridotte a meri oggetti.
Una volta insediatisi i talebani hanno annunciato di avere intenzione di includere le donne nel governo, ma hanno puntualizzato che questo avverrà “secondo la Sharia”, che di fatto esclude il sesso femminile da qualsiasi forma di partecipazione, in quanto pone su livelli diversi l’uomo e la donna. Quest’ultima è ritenuta sporca e infedele, indegna, inferiore rispetto ai maschi.
Le afghane non si rassegnano, non sono disposte a rinunciare ai diritti che hanno conquistato di recente, soprattutto a Kabul, dal momento che nelle aree rurali la donna non si è mai liberata da una condizione di atroce schiavitù. Molte di loro moriranno, verranno uccise, altre si lasceranno morire o si daranno fuoco. In nome della libertà.
Intanto in Occidente crediamo che la più alta espressione di emancipazione siano le astine alle vocali e ci dimentichiamo delle altre donne, delle nostre sorelle che campano letteralmente in catene.