Il campionario di accuse ed ingiurie che programmi televisivi e giornali sciorinano allorché si parla di Matteo Salvini lo conosciamo tutti. Egli è la Bestia, il barbaro, l’aspirante ducetto che mira a ad assumere “pieni poteri”, il tracannatore di mojiti sulla spiaggia, tra sederi di cubiste e discotecari a torso nudo, il fascista ed il razzista che vorrebbe impedire a centinaia di migliaia di migranti clandestini di sbarcare nel Belpaese, dove ci sarebbero invece spazio, opportunità e lavoro per tutti, nonostante gli ultimi preoccupanti dati sui tassi di disoccupazione.

Allorché Famiglia Cristiana con il titolo “Vade retro Salvini” dedicò la copertina all’ex ministro dell’Interno nel luglio del 2018, il processo di demonizzazione del leader della Lega era cominciato da un pezzo eppure non aveva ancora raggiunto il suo apice.

Più Matteo cresce nei sondaggi più l’accanimento nei suoi confronti si fa aspro e serrato. Il motivo è semplice: egli appare imbattibile. I suoi detrattori lo considerano più pericoloso e letale del coronavirus, la carica infettiva è allo stesso modo potente, la preoccupazione che suscita più o meno simile. Così ogni dì fior fiori di giornalisti vergano tonnellate di carta per discuterne gusti, scelte, modi, comportamenti. Il tutto con scarsi risultati. Tanto che da un po’ è emersa una nuova disperata tendenza (del resto è cosa nota, “a mali estremi estremi rimedi”): pur di fare apparire il leghista quale minaccia assoluta si è disposti persino a rivalutare un altro nemico storico, ossia Silvio Berlusconi.

Quest’ultimo attualmente viene trattato quasi con morbidezza da coloro che da sempre lo avversano. In confronto a Salvini, il Cavaliere sarebbe lo statista moderato e, tutto sommato, ragionevole, equilibrato, capace. Per non parlare poi di Giorgia Meloni, la quale, da sempre osteggiata e derisa per le sue maniere da “borgatara”, adesso viene coccolata persino da Repubblica, che ieri metteva in luce il fatto che ella, inserita dal Times tra i venti personaggi che potrebbero cambiare il mondo nel corso del 2020, è stata invitata il 5 e il 6 febbraio a Washington come interlocutrice privilegiata dei repubblicani statunitensi. Salvini invece è stato escluso, specifica il quotidiano. Meloni incontrerà il presidente Donald Trump, possibilità non concessa ad altri politici presenti all’evento. E come se non bastasse, ella non mancherà neanche al Cpac 2020, il Conservative Political Action Conferenze che avrà luogo dal 26 al 29 febbraio nel Maryland. “Ora sembra che sia Giorgia l’interlocutore nuovo con il quale i repubblicani vorrebbero interagire, che i conservatori americani vorrebbero conoscere”, scrive Repubblica. Meloni, inoltre, prima di volare negli USA, aprirà i lavori del congresso dei conservatori, il National Conservatism, che si terrà all’hotel Plaza di Roma lunedì prossimo e che vedrà la partecipazione di Orbán, Maréchal ed altri conservatori e riformisti europei. Salvini vi interverrà il dì successivo, quando Giorgia sarà già oltre oceano.

Insomma, i progressisti hanno così in antipatia Matteo che sono riusciti a farsi diventare simpatica Giorgia Meloni e pure Silvio Berlusconi, il quale, tutto sommato, in confronto al capo del Carroccio non aveva che un piccolo difetto, la passione smodata per il gentil sesso. Debolezza perdonabile, da poco. Almeno vista alla luce di questo nuovo panorama politico, in cui la sinistra sta collassando sotto il peso schiacciante e trascinante della Lega, come fosse un moscerino che si spiaccichi sul dorso corazzato di un bisonte.

Salvini è raffigurato come il politico che sta perdendo colpi, nonostante seguiti ad estendere il suo consenso, come il leader isolato persino all’interno della sua compagine, il centro-destra unito. A generare attriti tra i tre capi di partito ci sarebbe la questione della scelta dei candidati alle prossime elezioni regionali. Forza Italia e Fratelli d’Italia vorrebbero candidare Raffaele Fitto alla presidenza della Regione Puglia, mentre la Lega, che preferirebbe lasciare a Meloni la Campania e prendersi la Puglia, non sarebbe affatto d’accordo. La prossima settimana, nel corso del vertice tra i tre, si affronteranno pure tali questioni spinose.

È senza dubbio bizzarra la circostanza che Matteo, il quale è sempre stato tacciato di ricorrere alla turpe arma della paura per acchiappare preferenze, venga combattuto proprio con questo strumento: si tenta di veicolare il messaggio che egli rappresenti un rischio per la democrazia, talmente consistente da destare addirittura un sentimento di nostalgia nei confronti di Berlusconi e un afflato di amore verso Meloni. Lo scopo è duplice: screditare Matteo e, allo stesso tempo, spaccare l’alleanza di centro-destra. In base al principio sempre valido ma talvolta di ardua realizzazione: “divide et impera”.

Articolo pubblicato su Libero il primo febbraio del 2020

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