Nel Mezzogiorno è diminuita ulteriormente l’occupazione negli ultimi mesi a causa del prolungamento generalizzato delle misure restrittive volte a contenere il contagio da coronavirus, tuttavia sono aumentati i lavoratori: almeno quelli che, essendo in regime di smart working, dal Settentrione si sono trasferiti nelle regioni del Sud, da sempre considerate lontane dai virtuosi circuiti economici, culturali e sociali.

Gli scopi di questo improvviso trasloco di massa, fino a poco tempo fa impensabile, sono quello di beneficiare di un clima più mite, che dilata l’estate di qualche settimana, e quello di godere dei tutt’altro che irrisori vantaggi monetari derivanti dall’abitare nelle aree della penisola dove il reddito pro-capite è di gran lunga inferiore rispetto all’industrializzato Nord e dove quindi i costi sono calibrati su entrate modeste. Ecco perché in taluni casi la migrazione verso Sud, soprattutto per chi è del Sud originario, è stata inevitabile. Dalla fuga dei cervelli siamo giunti al loro controesodo.

Insomma, per dirla in soldoni, nel Meridione la vita è meno cara, e allora perché non fare i bagagli e stabilirsi laggiù, dove peraltro il virus cinese sembrava non si sarebbe mai spinto? È ciò che hanno scelto di fare o hanno dovuto compiere (per ragioni di convenienza) migliaia di italiani, riuniti nella pagina Facebook “South Working – Lavorare dal Sud”, che conta già oltre 6300 seguaci e che raccoglie le storie e le testimonianze di quanti hanno salutato senza rimpianti le aree urbanizzate, ad elevata densità abitativa, al fine di volgere altrove, dal momento che gli è consentito svolgere il proprio mestiere da qualsiasi posto. South Working è un’iniziativa di Global Shapers – Palermo Hub, volta a promuovere il lavoro dal Mezzogiorno e a rendere il Bel Paese, in particolare la parte inferiore dello stivale, “più attrattiva, riducendo il divario economico, sociale e territoriale tra le regioni europee e attraendo pure cittadini europei o extraeuropei”.

Certo, di recente il Covid risulta circolare anche e in particolare nei territori che ritenevamo “salvi”, come la Campania, tuttavia è indubbio che nei piccoli borghi di cui è disseminato il nostro Sud, nei paesini, che si stanno piano piano ripopolando, nelle cittadine dove l’esistenza ha un levità diversa, un ritmo del tutto differente da quello incalzante delle metropoli, è più facile schivare il contagio e, nell’eventualità in cui il governo dovesse imporre di nuovo la quarantena, sarebbe preferibile trovarsi in prossimità della natura, piuttosto che in un piccolo appartamento di uno dei grandi palazzoni delle nostre città più prospere. Paradossalmente è anche l’esigenza di spazio a spingerci verso Sud e a farci dirottare sui borghi a misura d’uomo da decenni snobbati e all’improvviso rivalutati.

I benefici del dimorare nel Mezzogiorno sono quindi molteplici. Però l’elemento più allettante è di sicuro il risparmio ingente, che in questo periodo di crisi non guasta. I generi di prima necessità, gli affitti, così come mangiare al ristorante o in pizzeria, tutto costa di meno.

È la rivincita del Sud: il Nord si tiene le fabbriche, le aziende più ricche, gli uffici e le attività più fiorenti, ma i lavoratori si delocalizzano. Chi può sgobbare da casa lo fa da un’abitazione fronte mare, magari a due passi dalla spiaggia, illudendosi di essere in uno stato di vacanza permanente e confidando nella proroga del lavoro agile da remoto. Infatti, chi ha voglia di ritornare in ufficio, sborsare centinaia e centinaia di euro per pagare l’affitto di un monolocale, trascorrere ore imbottigliato nel traffico per rincasare la sera stremato e nervoso?

Il Mezzogiorno sarebbe il luogo ideale in cui vivere se solo non fosse afflitto dalla piaga di una disoccupazione endemica. Se un individuo un impiego ce l’ha, allora non gli manca davvero nulla per campare bene. Forse ciò che la politica ha tentato di realizzare senza successo per lustri, ossia la rinascita del Meridione, si potrebbe concretizzare ora, grazie a quel virus maledetto che, mentre sconvolgeva le nostre vite, ha innescato altresì dei mutamenti positivi all’interno della nostra società.

Eppure nessuno è in grado di prevedere adesso se lo smart-working si imprimerà nel nostro modo di concepire il lavoro, insomma se sarà destinato a durare oltre la pandemia. Il rischio è che le periferie del Paese, ovvero quei graziosi centri che stanno rifiorendo, stiano attraversando una fase di ripresa provvisoria, una fugace primavera, una sorta di illusione destinata a spegnersi rapidamente, lasciando quei territori ancora più depressi.

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