I piedi infilati in un paio di comuni scarpe da ginnastica, neanche alla moda, un abito longuette di colore blu, nessuna traccia di trucco, ad eccezione di un velo di rossetto color carne, una cascata di capelli dorati sulle spalle, un corpicino esile, anzi ossuto, pallidissimo. Sembra che si possa spezzare, o dissolvere, Yuki, anche solo sfiorandola.
Ci viene incontro titubante. È una di quelle ragazzine che non noteresti mai per strada. Impressiona la sua banalità. Infatti non vogliamo credere che quella bimbetta così minuta e anonima sia la donna che stavamo aspettando, la escort e pornoattrice Yukikon, 23 anni. E invece no. Ci salutiamo dandoci la mano e l’unica cosa che in quel momento cade giù, sul marciapiede bollente di un pomeriggio d’agosto nel cuore di Milano, non è lei, bensì quel falso stereotipo che avevamo in testa e che voleva che tutte le escort fossero dotate di labbroni rifatti, zigomi sporgenti, corpi con seni e sederi gonfiati intrappolati in abiti il più possibile succinti, completati da tacchi vertiginosi.
Da Asti Yuki si è trasferita a Torino da quasi un anno, dal giorno in cui, appena tornata dal Giappone dove ha vissuto due anni per lavorare nel cinema porno, suo fratello minore l’ha sbattuta via di casa, perché era troppo grande la vergogna davanti agli amici. È un dolore che le lacera l’anima. Ma Yuki resta imperturbabile, come un samurai.
“La mia è una vocazione. Fin dai tredici anni, ben prima di avere il primo rapporto sessuale, ho capito che avrei fatto questo tipo di professione. Mentre le mie amiche collezionavano figurine dei cartoni animati, io raccoglievo le card delle attrici hard giapponesi e di brandelli di biancheria intima da loro usata, che acquistavo online. Io desideravo essere come loro, ero abbagliata, mi sembravano tanto delicate quanto potenti, erano raffinate, femminili, opposte al modello occidentale di donna oggetto e sexy ad ogni costo, fino al punto di diventare ridicola”, ci racconta la ragazza, che ha intrapreso la sua carriera non appena ha potuto, ossia all’età di 18 anni, quando frequentava ancora il liceo.
“Nutrendo ambizioni nel settore, mi sono iscritta al sito ragazzeinvendita e ho iniziato con le video-chat, che non mi permettevano di mantenermi. Guadagnavo un euro al minuto. Tuttavia, è stata un’esperienza che mi ha convinta ancora di più che quella era la mia strada”, continua Yuki, che allora viveva ancora con la madre ed il fratello, più piccolo di lei di 4 anni, ai quali non faceva mistero di ciò che succedeva quando era chiusa da sola nella sua cameretta. Dall’incontro in chat a quello reale con il cliente il passo è stato breve.
“La prima volta non ha suscitato in me sentimenti negativi, quali disagio o senso di colpa. L’ho vissuta come una cosa del tutto naturale. Per me era ed è un semplice lavoro. In Occidente si è portati a pensare che le donne che fanno le escort o le pornostar siano delle poco di buono, pronte a tutto pur di godere. In Oriente, invece, esse sono persone normali. È così che io mi sento e sono”, dichiara la fanciulla, che per un incontro di un’ora guadagna dai 300 ai 500 euro, mentre per una scena di sesso dai 150 euro in su.
“Non accetterei mai meno di 300, sarebbe come svendermi, togliermi valore. Tante miei colleghe si accontentano anche di 50 o 100 euro, puntando sul numero per un alto profitto, ma così diventano delle prostitute di strada. Piano piano marciscono, si consumano. Io, invece, mi permetto anche di selezionare i miei clienti, di solito rifiuto quelli sotto i 30 anni, perché non sono pronti al sesso a pagamento, non riuscirebbero ad apprezzarlo, a capirne il valore. Io dono intimità”, sottolinea Yuki, che preferisce i consumatori settantenni in quanto li giudica “più capaci di apprezzare quel momento di amore” che lei regala loro, previo pagamento della tariffa oraria.
“Il mio piacere non è mai l’obiettivo dell’incontro. Il mio compito è dare godimento, non godere. L’orgasmo può capitare qualche volta. Ci sono clienti che si dedicano a me, ma non sono tenuti a farlo”, rivela la escort, che manifesta il suo rigore: “rifiuto categoricamente il sesso anale e quello non protetto. Il primo è per me qualcosa contro natura, Dio non ci ha progettati per questo e molte mie colleghe sono state ricucite dopo rapporti di questo tipo; il secondo invece è un rischio al quale io non mi voglio esporre, sebbene qualcuno lo chieda. Nei film è diverso, non usiamo il preservativo perché ci sottoponiamo a numerosi esami clinici, è tutto più sicuro”.
Non mancano avventori che richiedono prestazioni particolari: “Spesso mi contattano uomini che desiderano che io faccia i miei bisogni, sia liquidi che solidi, sulla loro faccia. Lo farei se solo ci riuscissi, purtroppo per l’imbarazzo mi blocco. Una volta ho consegnato una scatola di plastica con dentro la mia pupù ad un cliente che ha pagato tale servizio 150 euro. Qualcuno mi paga anche solo per una cena e quattro chiacchiere”.
“Traggo serenità dal fatto che mia madre viene a trovarmi spesso a Torino e ora parliamo del mio lavoro. Lei ha capito che io lo svolgo con grande responsabilità, quindi lo accetta. Vivo da sola, ho avuto solo un fidanzatino, quando ero adolescente, e non penso che un ragazzo potrebbe mai tollerare la mia professione, sarebbe un ostacolo per me. Ho raggiunto la tranquillità economica, ma mi manca ancora l’equilibrio mentale, spirituale. Spero solo di stare bene con me stessa un domani, è un percorso lungo”, conclude Yuki, che, pur dichiarando di amare il suo lavoro, ci appare quasi smarrita mentre si allontana fragile nel mondo, diretta verso le braccia del prossimo uomo che pagherà per un’ora di sesso, o “di amore”.
Articolo pubblicato su Grazia nell’agosto del 2017