Sono vittime e, nello stesso tempo, assassini i leoncini dell’Isis, reclutati e addestrati già in tenerissima età per seminare terrore e morte. Un fenomeno sempre più diffuso se si considera che tutti gli arresti eseguiti in Europa dal 2016 hanno avuto una curva dell’età anagrafica che si è andata sempre di più abbassando. Fatto che coincide con un cambiamento continuo della strategia militare delle organizzazioni terroristiche di matrice islamica, teso a rispondere all’obiettivo fondamentale delle stesse, ovvero quello di destare sconcerto e panico in chi assiste all’attentato.

Se prima impressionava che un essere umano potesse arrivare al punto di togliersi la vita pur di fare il maggior numero di vittime, oggi sconvolge ancora di più che a sacrificarsi sia un esserino che si è appena affacciato all’esistenza e che da sempre rientra nella categoria dei deboli e degli indifesi. 

Oggi assistiamo ad un’inversione di tendenza: pur non essendosi estinto il kamikaze, tra i terroristi si sta affermando sempre di più una prassi non suicida, che li porta a darsi alla fuga subito dopo la realizzazione dell’azione omicidiaria. Non un segno di debolezza, bensì di forza. Il terrorista non scappa perché se la fa sotto, se la dà a gambe levate per poter uccidere ancora e, nello stesso tempo, per amplificare la scia di terrore che lo segue essendo egli una mina vagante difficile da intercettare e disinnescare. Alla promessa di poter sfogare le sue più basse depravazioni con le 67 vergini del bordello dei cieli, peraltro mai viste prima, il terrorista oggi preferisce una scopata sicura, sulla terra, con una donna non vergine ed in carne ed ossa. Egli uccide e poi risorge sempre, per uccidere ancora e ancora. E ancora. Come in un macabro videogame.

Nient’altro che un gioco. È questa la morte anche per i cuccioli delle organizzazioni terroristiche. Oggi sono loro ad esplodere nei mercati, nelle piazze, negli uffici, ovunque. Non si sa bene se decidano di farsi saltare in aria o vengano imbottiti inconsapevolmente di esplosivo e spinti sul patibolo. Non si sa neanche cosa venga promesso loro. Probabilmente nulla. Ma possiamo mai davvero considerare cosciente delle sue azioni un bambino di appena sette o otto anni? Anche se uccide, egli rimane innocente, perché inconsapevole del male che fa. La sua scelta non sarà mai libera ed autonoma.

I lenocini dell’Isis si fanno in mille pezzi perché non conosco alternative. Vita e morte per loro coincidono tragicamente. La morte è nera, come nera è la vita, come nera è la loro bandiera. Essi vengono svezzati con latte e colpi di kalashnikov, non hanno mai visto armi giocattolo, solo quelle vere, guardano i cartoni animati del terrore in cui genitori si fanno esplodere dopo avere messo i figli a letto, lasciandoli orfani e pronti a seguire il loro esempio. I cuccioli dell’Isis, che imparano la matematica contando fucili disegnati sulla lavagna e morti, addestrati sia di notte che di giorno, giocano armati a nascondino con i prigionieri del Daesh, vince chi fa più vittime, come si vede nel video diffuso il 30 dicembre del 2016 dalla casa mediatica ar-Raqqah. In un video del 20 settembre 2016, invece, vediamo un bimbo biondo di circa sette anni che con un tutor, che lo aiuta a premere il grilletto, uccide un prigioniero con un colpo alla nuca, restando sbigottito.

A dieci anni i leoncini sanno già confezionare bombe in piena autonomia, come ci ha mostrato la cronaca il 26 novembre del 2016, quando presso il mercatino di Natale di Ludwigshafen, nel sud-ovest della Germania, è stato sventato un attentato ad opera di un ragazzino di appena 12 anni, tedesco-iracheno, che aveva costruito una bomba artigianale con esplosivi e chiodi. 

Quello dei cuccioli dell’Isis è un fenomeno che ci riguarda da vicino. Per comprenderlo meglio, abbiamo incontrato il professore Marco Lombardi, direttore dell’Itstime (Italian Team for Security Terroristic Issues & Managing Emergencies) dell’Università Cattolica di Milano.

Professore Lombardi, a cosa è dovuto questo cambiamento della tattica da parte dell’Isis?

“Le organizzazioni terroristiche utilizzano da sempre i bambini come strumenti di morte. Daesh se ne sta servendo sempre di più perché consapevole che in Europa domina lo stereotipo del terrorista che si fa saltare in aria per raggiungere le 67 vergini. Non sempre è così. L’Isis, ricorrendo ai suoi cuccioli, mira a destabilizzarci ulteriormente per condannarci ad un’insicurezza cronica in cui è possibile tutto”.

La scelta di utilizzare i bambini è ascrivibile ad altre ragioni? 

“I vantaggi sono molteplici. I bambini sono insospettabili, non vengono perquisiti e si è più restii ad usare violenza contro un pargoletto o una donna, per ragioni culturali e sociali”. 

Possiamo considerare l’Europa il terreno ideale in cui i bambini kamikaze possono operare? 

“Di solito essi sono figli della terza generazione di migranti, quelli che si portano dentro l’incazzatura per il sogno di una vita nuova infranto a causa della fallita integrazione, quelli che hanno visto le loro aspettative definitivamente deluse, complice la crisi economica. Quindi essi si portano dentro rabbia e desiderio di rivalsa che trovano una valvola di sfogo nel terrore. In Europa ci sono questi questi sentimenti. In Italia siamo indietro di circa 5/10 anni. In questo caso, essere il fanalino di coda è un vantaggio, a patto che sappiamo sfruttare questa condizione”. 

Quindi tra 10 anni al massimo saremo nella stessa fase di criticità dei paesi dell’Europa centrale. Ci ritroveremo i bambini imbottiti di esplosivo nelle piazze? 

“Spero di no. Dipende da cosa insegneremo a questi bambini”. 

È più arduo attuare un processo di deradicalizzazione su un bambino? 

“Assolutamente sì, perché molti di quei bambini non hanno sperimentato altro che quel modo di vivere e di pensare. Inoltre, essi hanno vissuto spesso esperienze traumatiche difficili da estirpare, come l’ammazzare un uomo. Impegnando le nuove generazioni, l’Isis ha investito nel futuro. Questi bambini hanno bisogno di un’estesa rete di supporto anche affettivo. Bisogna mostrare loro che ciò che hanno conosciuto è solo un aspetto parziale della realtà, una fettina di mondo”. 

Stiamo involvendo verso un tipo di Europa in cui gli attentati terroristici saranno all’ordine del giorno? 

“Il terrorismo è un tipo di guerra ibrida che durerà a lungo. Dobbiamo sviluppare delle politiche di governo adeguate a livello continentale. L’UE ha dimostrato di essere un’unione di tipo finanziario e non dei popoli, ma la coesione si fonda sui valori e non sulle leggi. O l’Europa intera cambia o moriremo tutti, ognuno nei propri Stati ed in decadi diverse. O recuperiamo la nostra identità o saremo fottuti da chi un’identità ce l’ha e la esprime”. 

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