Se Paola Taverna non esistesse, qualcuno dovrebbe assumersi la briga di inventarla, perché ella è un tocco di colore nel monotono grigiore istituzionale. E lo scriviamo senza ironia. Basta rivedere alcuni suoi interventi in aula e fuori per ridere a crepapelle, ritrovando il buonumore, e di questi tempi divertirsi è così raro. Tuttavia, la senatrice Taverna, quella che “chi può escludere che esistano le scie chimiche?”, o quella che “più medicina preventiva e meno vaccini a go-go” (come se i vaccini non rientrassero proprio nella prima), mostra una inclinazione deleteria, per se stessa e per gli altri, ossia quella a prendersi troppo sul serio.

Quando nel marzo del 2013 si è spogliata degli abiti di segretaria per varcare la soglia del Senato, questa romana verace si era ficcata in testa che insieme ai suoi compagni avrebbe aperto le Camere come fossero scatolette di tonno e ribadiva sempre: “Sono qui non per farmi i cazzi miei ma per risolvere i problemi della gente”. Paola, quella che “je sputo in testa a Sirvio” e “je do na capocciata a Letta”, non gradiva allora essere chiamata “politica”, ritenendo questo termine una ingiuria tanto disprezzava la cosiddetta “casta” che il Movimento intendeva estirpare, almeno prima di trasformarsi in casta esso stesso, avendo sostituito il tonno con il caviale. Nel 2016 Paola proclamava che fosse stato architettato “un complotto per fare vincere il M5s” alle elezioni comunali romane. Indimenticabile il video autocelebrativo in cui Taverna appare intenta a compiere un vero e proprio prodigio, ossia buttare la spazzatura negli appositi cassonetti, sottolineando l’importanza di rispettare la legge. Dopodiché la senatrice si dirige con disinvoltura verso la sua macchina, parcheggiata proprio sulle strisce pedonali.

Taverna, convinta che “nazista” sia femminile e quindi “nazisto” sia maschile, giustifica la sua ignoranza riguardo la Costituzione dichiarando “non sono costituzionalista”. E che la Carta l’abbia al massimo spogliata o adoperata a mo’ di ventaglio lo si intuisce dal fatto che ella non conosce la differenza tra “capi di Stato” e “capi di governo”. Nel luglio del 2015 la grillina si vantava di avere definito i membri del Pd “mafiosi, schifosi, merde”, esortandoli altresì ad andarsene e augurandogli addirittura di morire. In seguito, da un giorno all’altro, ne è diventata alleata, spiegando che i cinquestelle “sono maturati”, che allora “era un’altra epoca” e che “le vecchie scaramucce vanno messe da parte”. Chiamale “scaramucce”!

Il dubbio che Paola possa soffrire di vuoti di memoria c’è e si rafforza alla luce di un’ultima clamorosa amnesia. Mercoledì scorso la senatrice ha postato su Facebook un video per esprimere “sdegno per la restaurazione del vitalizio a Roberto Formigoni, condannato a 5 anni e 10 mesi di reclusione”. “Un atto indegno”, prosegue Taverna, aggiungendo: “Noi non ci stiamo e non smetteremo mai di lottare, toglieremo questo schifoso privilegio” all’ex presidente della Regione Lombardia. La pentastellata specifica per di più che le forze politiche invece di “preoccuparsi delle famiglie che non riescono neanche a fare quadrare il pranzo con la cena si preoccupano di riconoscere il vitalizio a Formigoni”, dimenticando che il suo partito è al governo dal 2018 e che la responsabilità del boom di nuovi poveri, oltre un milione in più nel giro di 12 mesi, è proprio di chi ha gestito l’epidemia in maniera disastrosa. “Ho impegnato la mia vita a dedicare che tutto questo potesse accadere”, continua Taverna, colei che si prende troppo sul serio, con il suo splendido italiano.

In effetti, qualcosa fece Taverna affinché tutto questo potesse accadere, ossia votare la legge 26 del 28 marzo 2019 sul reddito di cittadinanza la quale, all’art. 18 bis, approvato da Taverna & Co., stabilisce che non solo il sussidio grillino ma anche la pensione e qualsiasi indennità e vitalizio debbano essere riconosciuti pure a terroristi, a mafiosi e a condannati definitivi, a meno che non abbiano eluso la pena, magari fuggendo all’estero. Eppure la smemorata Paola non rammenta nemmeno il suo entusiasmo il dì in cui questa norma, che ora la disgusta, fu introdotta.

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