Il buon giornalista dovrebbe guardarsi bene, oltre che dall’annoiare e dal compiere prediche, dal parlare di ciò che lo riguarda, che di solito non interessa nessuno. Eppure oggi mi tocca raccontare la situazione che vivo da qualche giorno, in quanto ritengo siano stati lesi dei diritti fondamentali che non appartengono soltanto a me, bensì a tutti noi. Twitter ha sospeso il mio account e questo mi impedisce di interagire con i lettori che mi seguono.

Una spiegazione non mi è stata fornita, il che contribuisce a configurare alla stregua di un vero e proprio abuso codesta scelta arbitraria di limitarmi. Pure il presidente degli USA Donald Trump, eletto da milioni di cittadini americani, è stato più volte oscurato da Twitter, che si erge ad arbitro della verità (quella che evidentemente è gradita ai gestori), beccandosi l’accusa di diffondere un clima d’odio e fake news. Riposa in pace, Democrazia!

Urge una riflessione. I social network si sono imposti nel nostro quotidiano, tutti ne facciamo uso, li sfruttiamo, li adoperiamo sia per scopi ludici che professionali. Può quel “grande fratello” che amministra tali piattaforme censurare e quindi reprimere, peraltro senza esibire una ragione, l’altrui libertà di opinione, di parola e di espressione?

Occorre precisare che non ho mai usato un linguaggio inappropriato, aggressivo, violento, insultante, anzi aborrisco codesti toni e rispetto chiunque, a prescindere dal fatto che costui la pensi o non la pensi come me. Su Twitter condividevo ogni giorno i miei articoli, tratti pure dal mio sito personale, e altresì punti di vista, commenti, su diversi argomenti di stretta attualità. Non diffondevo indicazioni su come confezionare bombe o organizzare un attentato. Insomma, non sono un soggetto disturbante, pericoloso, sospetto. Allora perché bloccarmi?

L’aggravante è che, essendo una operatrice dell’informazione, ostacolare la mia libertà di pensiero e il mio sacrosanto diritto di critica produce il soffocamento esteso di un altro diritto, quello dei lettori di essere informati nonché indirettamente la libertà di stampa. Roba da regime staliniano, eppure avviene nell’Occidente del nuovo millennio, in un Paese libero e civile quale si presume essere l’Italia. Twitter mi ha punita, mi ha messa nell’angolino a tempo indeterminato, con la faccia contro il muro: mi consente di scorgere ciò che gli altri scrivono ma mi proibisce di rispondere, quantunque tramite il cosiddetto “like”, chiamato pure “cuoricino”. Le ragioni mi sono appunto sconosciute, in barba alla legge.

Il regolamento dei social deve rispettare i principi dell’ordinamento giuridico in cui il social stesso è diffuso, tra cui rientra la libertà di manifestazione del pensiero. Tale libertà non implica, ovviamente, la licenza di insultare ed offendere. Il gestore non può in alcun modo restringere a sua propria discrezione il diritto di critica. Quest’ultima consiste in un’attività di produzione intellettuale che si sostanzia nella manifestazione di un giudizio o di una opinione che deve essere motivata, essendo la motivazione il pilastro stesso della critica.

“La penna è più pesante del ciottolo e può diventare più dannosa di una sassata”, scriveva Oscar Wilde. A qualcuno avrò dato fastidio per ciò che vergo. Ecco perché sono stata illegittimamente sottoposta a censura e inibita come fossi una criminale. Nella ingiustizia e nel disagio che sto patendo, mi consola sapere che siete in tanti a sostenermi e, se sto tanto sulle scatole a chicchessia e ciò che affermo risulta scomodo a qualcuno, significa che sto facendo bene il mio lavoro. Avanti tutta.

libro ali di burro

Il primo libro di Azzurra Barbuto
A 10 anni dalla prima edizione, la seconda è ora disponibile su Amazon in tutte le versioni

Acquistalo su Amazon