Nell’ansia di rendere le scuole luoghi battericamente puri e le classi sale operatorie dotate di strumenti sterili, abbiamo imposto ai nostri fanciulli troppe regole e molte di queste risultano esagerate, follie nonché inutili. Gli istituti assomigliano sempre di più a carceri di massima sicurezza e i discenti a condannati al 41bis.

Ad esempio, c’è il divieto di introdurre all’interno del plesso scolastico pupazzi di peluche. Gli adolescenti non si recano a lezione con la barbie o l’orsetto, questo è pacifico, eppure molti bambini delle materne non si distaccano mai dal proprio bambolotto. Averlo accanto infonde un senso di sicurezza e privare un pargoletto della possibilità di portarsi questo oggetto da casa è crudele, soprattutto ove consideriamo che la scuola oggi non è un ambiente rassicurante, neppure quella per gli infanti.

Qui infatti, sebbene per i piccoli sotto i 6 anni non viga l’obbligo di indossare il dispositivo di protezione individuale, le maestre sono munite di mascherine, visiere in plastica, spesso addirittura guanti e non possono fornire al pargoletto quel senso di rassicurazione tramite contatto fisico di cui questi ha bisogno, mediante abbracci e carezze.

Unica certezza nella confusione generale è che la scuola non è più quella di una volta, quella che è stata fino al febbraio scorso.

I 1.400 alunni dell’Istituto Falcone Righi di Corsico, liceo scientifico e istituto tecnico, non possono da quest’anno accedere in classe con zaini tradizionali, astucci, penne, matite, libri di testo o altri. Avete capito bene: sono messi al bando persino i libri. E allora si andrà a lezione per girarsi i pollici?

No, gli adolescenti studieranno sui tablet messi a disposizione dal liceo, strumenti che alla fine della giornata i ragazzi stessi dovranno disinfettare accuratamente e riporre sotto carica negli armadietti. Come sia possibile apprendere senza i libri di testo che poi dovrebbero essere riletti a casa resta un mistero. Inoltre, come si prenderanno appunti da rileggere poi nella propria stanzetta? Non è scuola una scuola senza penne e quaderni. Certo è che essa fabbricherà adulti in grado di digitare, eppure non di scrivere. Se dovesse mancare l’energia elettrica, nessun problema, ecco che verranno distribuiti penne e fogli di carta, ma guai ad infilarli nel marsupio lavabile e igienizzabile prima di rincasare: le pagine si fotografano e poi si gettano via, perché potrebbero essere contaminate.

Le cartelle non vanno appoggiate per terra. Né dentro la scuola né fuori. Il tutto per tenere alla larga il coronavirus. Dunque, i nostri figli trascorrono la mattinata in strutture fatiscenti, pericolanti, dai muri sporchi, ammuffiti, assolutamente non salubri, ma ciò che conta è stare sul banco con le rotelle e usare spesso l’amuchina. Vi appare logico?

Vietato è addirittura il canto. Ognuno di noi ricorda l’ora di musica alle scuole medie. Si suonava e si intonava pure qualche nota. Era uno svago oltre che una occasione di apprendimento. Bene, non sarà più concesso di cantare. Secondo il comitato tecnico-scientifico, il canto favorisce la diffusione del contagio. Kyriakoula Petropulacos, membro del comitato per l’emergenza Covid e direttore della Sanità in Emilia-Romagna, ha spiegato, auspicando che gli studenti in aula non alzino la voce e restino muti, che “cantare e urlare aumentano lo spargimento di goccioline che, se infette, hanno la capacità di contagiare”.

Addio altresì all’ora di educazione fisica, almeno come la conoscevamo prima. No agli sport o ai giochi di gruppo. La ginnastica, rigorosamente individuale, è ammessa soltanto all’aperto e in locali molto grandi di cui non tutti gli istituti sono dotati.

La ricreazione? Si fa a turni ed è fuori legge lo scambio delle merendine, quel gesto tenero che ciascuno di noi ha riservato, o ha ricevuto, al compagno consistente nel porgere un pezzo del proprio panino. Per scansare il corona siamo chiamati ad essere egoisti. E menomale che esso avrebbe dovuto renderci migliori!

Esultano gli studenti più somari, quelli che copiano o si fanno suggerire dal vicino di banco (dovutamente distanziato): i professori non potranno più girare per il locale durante i compiti in classe allo scopo di assicurarsi che nessuno bari.

È precluso pure l’uso di parlare all’orecchio dei compagni ed è inammissibile passarsi oggetti, prestare una penna, leggere dallo stesso libro, consegnare i propri appunti all’amichetto, sfiorarsi, salutarsi con un abbraccio o un bacio. Quanto alle carezze, neanche a parlarne! E chissà quale senso di ribellione monterà nell’animo di adolescenti già per vocazione ormonale insofferenti alle regole più stringenti!

A Milano, l’assessore alla mobilità, Marco Granelli, ha lanciato un appello agli studenti, invitandoli ad “utilizzare il meno possibile auto e bus” per raggiungere la scuola. Specifichiamo che i fanciulli non hanno la patente, dunque non possono adoperare la vettura, ma come diavolo dovrebbero spostarsi se non soprattutto mediante i mezzi pubblici? Su biciclette e monopattini, secondo l’assessore, il quale non tiene conto del fatto che in appena tre mesi (peraltro nel periodo estivo in cui il traffico è notevolmente ridotto) soltanto a Milano si sono registrati 650 incidenti su questo genere di aggeggi. Inoltre, la stagione delle piogge e del gelo è alle porte, non siamo mica in primavera. Finiremo con l’imporre ai giovani di compiere il tragitto tra casa e scuola a bordo della slitta, magari trainata da renne del Polo Nord. O – perché no? – a cavallo di una ecologica scopa. E così Lucia Azzolina, sebbene non sia una befana, sarà contenta.

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