Impressionano gli ultimi dati relativi agli sbarchi di migranti sulle nostre coste. Nel giro di appena 7 giorni sono giunti in Italia via mare 1.752 clandestini, una media di 250 al dì. Il record è stato registrato sabato scorso con 1.169 approdi in poche ore. Sale così a 16.817 il numero di immigrati accolti dal primo gennaio a ieri, nonostante la pandemia in corso e la circolazione di pericolose varianti che spingono i governi europei alla prudenza nell’allentamento delle restrizioni.

Anche il nostro ministro della Salute, Roberto Speranza, qualche settimana fa ha ritenuto indispensabile prorogare fino al 24 giungo il divieto di sbarco in Italia per quanti volano da India, Bangladesh e Sri Lanka verso lo stivale, proprio perché questi sono i Paesi in cui dilaga maggiormente la variante indiana del coronavirus. Ed è quasi scontato che ci sarà una proroga ulteriore. Dunque, è impossibile giungere via aerea in Italia, tuttavia è possibile farlo illegalmente attraverso le rotte adoperate dai trafficanti di esseri umani.

Qualcosa qui non quadra, anzi diciamo pure che non quadra proprio un bel niente, tanto più se consideriamo due elementi tutt’altro che trascurabili: innanzitutto, la prima nazionalità dei migranti che toccano le nostre coste è proprio quella bengalese (da gennaio ad oggi abbiamo incamerato 2.704 cittadini del Bangladesh); in secondo luogo, come ha spiegato Massimiliano Fedriga, presidente del Friuli-Venezia Giulia, in una intervista pubblicata ieri su Libero, attualmente un terzo dei contagi viene da immigrati clandestini.

Ci domandiamo come possano Speranza e pure Lamorgese, ministri evidentemente così bravi e preparati da essere riconfermati nel passaggio dal Conte II al governo Draghi, restare indifferenti davanti a questa situazione fuori controllo e allarmante. Sembra addirittura che la sospensione dei collegamenti aerei con i Paesi asiatici su menzionati non abbia fatto altro che incrementare gli arrivi clandestini da questi stessi Stati di origine. Insomma, noi chiudiamo la porta e i migranti entrano dalla finestra e per di più ci tocca mantenerli, e la spesa pubblica lievita di giorno in giorno. E non chiamateli “profughi”.

La seconda nazionalità dichiarata al momento dello sbarco dopo quella bengalese è quella tunisina, pur non essendo la Tunisia in balia della guerra e della carestia. Ovvio che il popolo italiano si senta preso in giro, beffato, sfruttato, e ne abbia abbastanza. Eppure la sinistra cosa fa? Ci parla di ius soli ed esigenza di integrare chi non intende integrarsi regalando la cittadinanza italiana, e pretende che crediamo che i clandestini ci pagheranno le pensioni, ma ad oggi siamo noi a foraggiarli, da vitto e alloggio a spese mediche per tamponi e tutto il resto.

Nelle prossime settimane, come avviene ogni anno, gli sbarchi cresceranno ulteriormente: se adesso la media è di ben oltre 3000 al mese, è certo che, quantomeno, raddoppieranno. Ed è ridicolo che la stampa narri con allarmismo un caso di variante indiana riscontrato a Milano e non racconti con gli stessi toni l’onda di migranti provenienti da zone infette la quale ci sta travolgendo, cominciando da un Meridione eternamente impreparato nella gestione delle emergenze, Mezzogiorno che l’esecutivo avrebbe il dovere di proteggere ma che invece sta ponendo a rischio oltre che impoverendo. Infatti, accogliere migliaia e migliaia di clandestini al mese significa accogliere nuovi poveri che si aggiungono alla platea di indigenti che già è aumentata nell’ultimo anno.

Vengono favoriti in tal modo miseria, delinquenza, lavoro nero, degrado e disperazione. Mi ha stupita vedere che sulle spiagge calabresi, ad esempio, la quota di venditori ambulanti extracomunitari è addirittura superiore a quella dei bagnanti. Questo esecutivo si è autoproclamato “dei migliori”, nonostante la presenza di ministri che si erano già rivelati non all’altezza dei loro compiti, ci dia prova di esserlo arginando questi fiume di extracomunitari che si muove in direzione dell’Italia poiché convinto che qui tutto è permesso.

Si prospetta una estate bollente.

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