Nella notte tra il 17 e il 18 ottobre del 1969, all’interno dell’Oratorio di San Lorenzo, a Palermo, fu tagliata via con una lama dalla sua cornice la “Natività” dipinta dal maestro lombardo Caravaggio nei primi del Seicento. Del capolavoro, mai più ritrovato, l’indomani mattina non restavano che alcuni brandelli di tela.

Il dipinto, come si desume dal nome, raffigura la nascita di Gesù Cristo: la giovanissima madre, visibilmente provata dal parto, guarda teneramente il suo bambino, che se ne sta disteso su un panno, che copre un mucchio di paglia; Giuseppe appare di spalle, rivolge lo sguardo verso alcuni ospiti, San Francesco e un altro uomo; a sinistra, troviamo il docile bue e San Lorenzo, chinato sul piccolo; discende un angelo il quale punta il dito verso l’alto, facendo da tramite tra il neonato e il cielo.

La Natività, il cui valore ammonta da alcune decine di milioni di euro, è inserita nella lista dell’FBI contenente le dieci opere d’arte rubate più importanti al mondo. È vero che del dipinto si sono perse le tracce, tuttavia nel corso degli anni non sono stati pochi i pentiti che hanno raccontato di essere stati al cospetto della tela, che campeggiava durante le riunioni ai vertici di Cosa Nostra.

Del resto, le organizzazioni mafiose conservano una profonda quanto bizzarra devozione religiosa. Non rispettano i comandamenti di Dio né sono promotrici del messaggio d’amore e di fratellanza di Gesù Cristo, tuttavia la religione per i mafiosi è uno strumento che in qualche maniera serve a consolidare la fedeltà stessa all’associazione, dunque il potere. Tanto è vero che sia gli affiliati entrano a fare parte di queste organizzazioni mediante giuramento nel corso di rituali in cui compaiono immagini religiose e sangue.

Si sa che la Natività di Caravaggio è stata motivo di vanto per i boss mafiosi, ma si ignora dove essa sia custodita. Un pentito rivelò agli inquirenti che la tela era adoperata dal boss Totò Riina come scendiletto. Senza dubbio Matteo Messina Denaro potrebbe risolvere questo enigma. Però è difficile che lo faccia. Chissà quante volte è capitato all’ex superlatitante di osservare da vicino questo straordinario e gigantesco capolavoro (268×197), risalente al periodo in cui Caravaggio soggiornò in Sicilia.

Discordanti le testimonianze dei pentiti. Uno di loro narrò che la tela era stata sepolta nella campagna palermitana e indicò persino un punto preciso, dove però non fu trovato un bel niente. Un altro disse che la restituzione del dipinto fu proposta allo Stato italiano in cambio di una riduzione drastica delle pene per i condannati per mafia. Nel 2009 qualcuno affermò che l’opera era ormai andata distrutta, divorata da topi e maiali. Secondo altre dicerie, la tela sarebbe stata sezionata in quattro pezzi venduti poi all’estero ad altrettanti collezioni.

Arduo credere che questo possa essere vero. Chi ama l’arte forse arriverebbe persino a rubarla pur di impossessarsene ma di sicuro non accetterebbe di triturarla.

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