A furia di strappi alla regola, del Movimento Cinque Stelle è rimasto con le pezze sul fondoschiena. Il suo attuale elettorato non è che un brandello di quello che fu neppure troppo tempo addietro, ossia due anni fa. I pentastellati sono impegnati in questi giorni in una dolorosa quanto faticosa operazione di individuazione dei motivi che li hanno condotti al fallimento totale, incassato in occasione delle recenti elezioni regionali, e ravvisano in una presunta perdita di identità la causa che ha indotto i cittadini ad allontanarsi dal Movimento. Eppure, perché si possa smarrire una identità, converrete che occorra possederla. Ed i cinquestelle non hanno mai brillato quanto a personalità.

Si sono accoppiati ora con questi e ora con quelli e si sono dimostrati sempre pronti a rinnegare le proprie idee ed i propri principi pur di conservare le poltrone. Avevamo previsto questa dispersione di consensi allorché i gialli si allearono da un momento all’altro con i rossi, reputati da sempre dei nemici con i quali sarebbe stato impossibile andare d’accordo, il Pd del resto costituiva per i pentastellati il male assoluto dell’Italia. E poi eccoli lì, a braccetto con il così apostrofato “partito di Bibbiano”.

Tali contraddizioni non pagano, ma si pagano a caro prezzo, questo sì. Ed ora i nodi vengono al pettine. Ci sarebbe da correre ai ripari. Altro che caldeggiati Stati Generali e chiacchiere vane! Qui ci sarebbe da cambiare proprio registro e dimostrare – finalmente – un minimo di coerenza. Giusto per salvare il salvabile. Giusto per non precipitare al di sotto del 5%.

Ignoriamo se il M5s abbia perduto l’identità che si illudeva di avere, ma la faccia senz’altro sì. È accaduto ancora quando lunedì la prima cittadina di Torino Chiara Appendino, appena condannata in primo grado a sei mesi per falso in atto pubblico in relazione alla vicenda Ream, uscendo dal tribunale, ha dichiarato: “Porterò a termine il mio mandato da sindaca. Come previsto dal codice etico mi autosospenderò dal M5s”. Come previsto dal codice etico un tubo, dato che esso impone di fare i bagagli e abbandonare il Palazzo!

Non soltanto Appendino non si è dimessa in precedenza in quanto indagata per omicidio colposo, disastro, lesioni, abuso d’ufficio e falso, ma non ha nessuna intenzione di compiere un passo indietro neppure ora che è intervenuta una condanna per falso ideologico. Nessun imbarazzo. Chiara neanche si scompone. E i vertici del Movimento, anziché chiederne a gran voce le dimissioni, esprimono alla sindaca piena solidarietà, come se – poverina – i magistrati cospirassero contro di lei, tenero agnellino, lei che indubbiamente è onesta e senza macchia per il solo fatto di appartenere allo zoo grillino. E guai ad insinuare il contrario! Le leggi esistono e valgono per gli altri, non per i cinquestelle.

E noi saremmo d’accordo con loro: in base al principio della presunzione di innocenza, un individuo può essere ritenuto colpevole solamente con sentenza passata in giudicato, ossia dopo l’esaurimento dei tre gradi di giudizio. E un politico non dovrebbe ritirarsi né se sotto inchiesta né se condannato in primo grado. Però, c’è un però, i cinquestelle hanno obbligato alle dimissioni persino politici che erano semplicemente sotto indagine e neanche rinviati a giudizio, come il sottosegretario leghista Armando Siri nel maggio del 2019.

E, come se non bastasse, essi si sono dati un preciso codice etico sotto forma di regolamento interno, il quale stabilisce nero su bianco che in caso di condanna, anche solo di primo grado, gli eletti devono rassegnare le dimissioni, mica semplicemente autosospendersi dal Movimento, come ha scelto di fare Appendino. “È considerata grave ed incompatibile con il mantenimento di una carica elettiva quale portavoce del Movimento la condanna, anche solo in primo grado, per qualsiasi reato commesso con dolo”, dispone lo statuto.

Quanta ipocrisia! Che penoso quanto maldestro tentativo di aggirare le norme: la sindaca condannata non si ritira a vita privata e la maggioranza cinquestelle in Consiglio comunale sostiene Appendino esterna al Movimento. Non è solo ella ad avere mandato al diavolo il regolamento, bensì tutti quanti, incluso il comico Beppe Grillo che sui social network lancia un messaggio pubblico diretto alla prima cittadina: “Ti voglio bene”.

Se i grillini sprofondano sempre più giù è perché hanno dato prova – ampiamente – di avere più a cuore il mantenimento del potere che i valori che hanno declamato stracciandosi le vesti. La parabola sfiora quasi il fondo. C’è sempre tempo per peggiorare.

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