Gli uomini piccoli si riconoscono: sono quelli che approfittano della loro posizione di potere per umiliare gli altri. Si era infilato in tasca un dentifricio e uno shampoo (neanche cinque euro di spesa), il sessantasettenne che in un supermercato di Bolzano, sorpreso a rubare, è morto di infarto subito dopo l’arrivo della polizia. Avrebbe avuto bisogno di essere tranquillizzato, invece gli è scoppiato il cuore sotto il peso di una mortificazione insostenibile a cui lo aveva spinto l’indigenza. È il terzo dramma della povertà registrato in pochi giorni in quell’area, considerata ricca. Non si fa altro che ripetere che i nonni ci sottraggono impieghi e risorse, eppure essi vivono sovente in condizioni disperate. E, come se non bastasse, li maltrattiamo.

Sono 13.783.580 gli ultrasessantacinquenni italiani al primo gennaio del 2019 su una popolazione di 60.359.546 persone. L’indice di vecchiaia, ossia il rapporto percentuale tra il numero degli over 65 e quello degli individui fino a 14 anni è di 173,1 anziani ogni 100 fanciulli. Per questo il nostro Paese è il più longevo al mondo insieme al Giappone. Non solo i primi risultano più copiosi dei secondi, ma sono pure in costante aumento. Tuttavia non crescono le tutele nei confronti di questa fetta importante di cittadini, i quali ora rischiano persino l’amputazione del sacrosanto diritto di designare i propri rappresentanti in quanto vecchi e perciò ritenuti incapaci di compiere scelte politiche orientate in avanti.

A proporlo è stato il comico Beppe Grillo, 71 anni, che vorrebbe attribuire il diritto di voto ai sedicenni, che per adesso eleggono al massimo il rappresentante di classe, e toglierlo ai loro nonni. Infatti, secondo il genovese, sbarazzarsi dei voti degli anziani è un modo “per garantire che il futuro sia modellato da coloro che hanno un reale interesse nel vedere realizzato il proprio disegno sociale”. Peccato che il commediante trascuri di considerare che la politica si occupa altresì del presente di cui fanno parte anche quelli che egli vuole estromettere dalla gestione della cosa pubblica negando loro la democratica rappresentanza.

Inoltre, non ci sembra che gli attori istituzionali siano dotati di capacità di proiezione: l’unica prospettiva di “lungo” periodo che hanno i partiti sono le prossime elezioni. Nessuno di noi, fresco o vetusto che sia, quando si reca alle urne (se vi si reca), esprime la preferenza pensando al bene del Paese da qui ai successivi 20 o 30 anni, bensì sperando di ottenere qualcosa di buono nell’imminenza. Ecco perché le motivazioni fornite da Grillo non si reggono in piedi. La sua idea malsana e incostituzionale, volta ad abolire il suffragio universale per riportarci indietro di decenni di civiltà, ossia all’epoca in cui a certe categorie veniva impedito il voto in base al sesso o in base al censo (in questo caso in base al dato anagrafico), avvalora il sospetto che l’uomo baffuto si sia bevuto il cervello.

Eppure nessuno dei suoi ha il coraggio di arginarlo. Il cabarettista ne spara una più grossa dell’altra, ma, se la gente prima appoggiava le sue idiozie, trascinata dal potere liberatorio di un vaffanculo troppo a lungo represso nello stomaco, oggi appare sempre più contrariata. L’appeal che Grillo esercitava sugli italiani si sta liquefacendo. E Beppe è divenuto la caricatura di se stesso: troppo comico per essere preso sul serio e troppo serio per essere preso per comico.

Qualche mattino fa l’Elevato, tale si autodefinisce, ha partorito uno dei suoi lampi di genio: spogliare quasi 14 milioni di italiani dei diritti costituzionali, del diritto di voto attivo e quindi anche passivo, cioè di eleggere e di essere eletti, contribuendo così a rafforzare quell’odioso pregiudizio che la nostra società cova nel suo seno come un cancro. Si tratta del convincimento che i vecchi siano inutili. Che “giovane” sia sinonimo di bello, buono e competente. I ragazzi hanno la facoltà di pensare al domani; gli anziani, al massimo, quella di scegliere il sepolcro al fine di levarsi dalle palle il prima possibile lasciando ai giovanotti posti di lavoro e lussureggianti orizzonti.

La politica non è mai stata tanto diseducativa come in questa fase storica. Essa ogni dì se la prende con i nonni, che sono troppi, si mangiano la pensione (sudata e poi utilizzata per mantenere figli e nipoti) e hanno inquinato il pianeta. Gli anziani vengono criminalizzati per il solo fatto di esistere e la perdita del diritto di voto, pena accessoria per il condannato nel codice penale, è una maniera per punirli, facendoli sentire estranei alla comunità, pronti per essere spediti al macero.

L’imperativo categorico sembra essere “guardare al futuro”, ma è operazione vana allorché non si conosce il nostro passato di cui proprio gli avi sono depositari e testimoni. Essi ci possono guidare, mettendoci a disposizione la preziosa esperienza. Sono risorse da proteggere e non cittadini di serie B, come li classifica l’Elevato.

Articolo pubblicato su Libero il 20 ottobre del 2019

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