Non si è trattato di un femminicidio. Né di un tentativo di rapina finito male, ossia in un bagno di sangue. L’omicidio di Sharon Verzeni, 33 anni, avvenuto a Terno d’Isola, Bergamo, poco dopo la mezzanotte, tra lunedì 29 luglio e martedì 30, è un vero e proprio enigma. Chi l’ha sorpresa colpendola alle spalle e piazzandole prima tre coltellate alla schiena e poi, quando la donna si è voltata, una al torace e altre due all’addome, si ritiene che conoscesse bene le abitudini di Sharon, la quale era solita uscire di sera a passeggiare al fine di perdere peso, come le aveva suggerito la dietologa. La scelta dell’orario era dovuta all’esigenza di evitare le ore più afose della giornata. Il compagno, Sergio Ruocco, che spesso l’accompagnava, quella sera si era messo a letto subito dopo cena, nemmeno accorgendosi che la fidanzata fosse uscita. È stato svegliato dai carabinieri che gli hanno comunicato la tragica notizia: Sharon era stata aggredita, ferita e trasportata in ospedale in gravi condizioni.
Il padre della trentatreenne, Bruno, esclude categoricamente che Sergio, che considera “una persona splendida”, possa essere coinvolto in qualche modo nell’assassinio e, stando a quanto il babbo ha dichiarato ai media, la figlia, che lavorava in una pasticceria di Brembate, conduceva una vita tranquilla, andava d’accordo con tutti sia nell’ambiente professionale che al di fuori di questo, non aveva nemici né ex fidanzati ossessivi. Sharon si dedicava in maniera esclusiva al lavoro, alla casa e al compagno.
Un particolare da non trascurare è questo: Sharon ha cercato di chiedere aiuto chiamando il 112. Ed è anche riuscita a dire all’operatore alcune parole: “Aiuto, mi hanno accoltellata”. È molto probabile che neppure lei conoscesse l’assassino, non avendo fatto alcun nome nemmeno quando è stata soccorsa da chi abita sulla via in cui è avvenuta l’aggressione.
Insomma, è altamente verosimile che si sia trattato di uno sconosciuto, che probabilmente seguiva i movimenti di Sharon da un po’ e che quindi ne conosceva abitudini e orari. Uno sconosciuto che ha aspettato l’occasione giusta per tirare fuori l’arma e adoperarla. Un assassino che, approfittando dell’assenza del compagno di Sharon, ha scelto di colpire proprio quella sera, semplicemente per soddisfare un desiderio di sangue.
Non è la prima volta che in quella zona accadono fatti simili. Sharon lavorava a Brembate e a Brembate viveva anche Yara Gambirasio, tredicenne scomparsa il 26 novembre del 2010 da Brembate di Sopra, il cui corpo è stato ritrovato in un campo aperto a Chignolo d’Isola (a circa 10 km da Brembate), il 26 febbraio del 2011. Un lembo degli slip era reciso e lasciato penzolante fuori dai leggins. Il cadavere presentava numerosi colpi inferti con un oggetto contundente, un trauma cranico, una ferita al collo e almeno sei ferite da arma da taglio. Nessun segno di violenza sessuale. Ma forse un tentativo di compierla, come fa ipotizzare lo slip reciso in un punto. Dall’autopsia risulta che la morte sia sopraggiunta dopo l’aggressione, a causa del freddo e dell’indebolimento dovuto alle lesioni.
Un altro caso presenta numerose similitudini con quest’ultimo. Si tratta della scomparsa, avvenuta un mese dopo quella di Yara, di Sarbjit Kaur, 22enne di origini indiane. Sarbjit si era allontanata dalla sua abitazione, sita a Martinengo, sempre nella Bergamasca, il 24 dicembre del 2010. Era un venerdì ed era un venerdì anche il giorno in cui sparì Yara, quel famoso 26 novembre del 2010.
L’auto di Sarbjit, una Honda Jazz di colore blu fu individuata, parcheggiata e con le portiere chiuse, a Seriate, all’ingresso di un grande parco attrezzato, “Oasi verde”, che si estende su entrambe le sponde del fiume Serio. Il corpo della giovane, invece, fu ritrovato a sei giorni di distanza dalla scomparsa, ossia il 30 dicembre, a 20 km circa dall’auto, a Cologno, sul greto del Serio. La ragazza aveva gli slip abbassati, mentre i pantaloni si trovavano a un paio di metri dal cadavere.
Il caso fu archiviato come suicidio mediante annegamento, ma i familiari non hanno mai creduto che Sarbjit si sia tolta la vita. L’ipotesi del suicidio per annegamento è incompatibile con la ferita alla testa inferta con un oggetto contundente e con i due tagli all’altezza dei polsi, simili a quelli procurati dall’assassino a Yara.
Le numerose analogie tra i due omicidi sono state messe in luce anche dagli avvocati della difesa di Massimo Bossetti, in carcere dal 16 giugno del 2014, giorno del suo arresto, condannato all’ergastolo per l’omicidio di Yara sulla base di fragili indizi e quella che viene considerata prova, la prova regina, ossia il Dna, sebbene sia sempre stata negata a Bossetti la possibilità di un’altra perizia sul Dna rimasto sugli indumenti di Yara, tracce che risulterebbero insufficienti e non più utilizzabili, cosa che però non ha impedito di condannare un uomo al carcere a vita nonostante la sussistenza di ragionevoli dubbi sulla sua colpevolezza.
Questi crimini si sono verificati tutti nella stessa area e da un luogo all’altro c’è una distanza di appena pochi minuti. Non possiamo escludere che nella Bergamasca si aggiri un serial killer che se ne va in giro armato di coltello. Diventato adesso ancora più feroce.