Non vi è dubbio oramai che in politica l’odio cementi più dell’amore. Se i bambini sono il frutto della tenerezza. I governi a volte sono il prodotto di un livore condiviso che unisce e stritola coloro che ne sono portatori i quali in quel rancore riconoscono la reciproca identità e somiglianza. Basti guardare il Bis(C)onte, bestia concepita mediante l’unione di due forze da sempre avverse, che da un giorno all’altro si sono scoperte affini, se non depositarie degli stessi valori, almeno coltivatrici degli stessi intenti: condurre una guerra contro il leader della Lega Matteo Salvini, l’uomo brutto e cattivo, l’orco che in spiaggia tracanna un mojito dietro l’altro e, privo di misericordia, condanna a morte gli immigrati che scappano dai conflitti e dalla fame.
Una guerra dichiarata non perché Matteo sia crudele, bensì poiché egli piace agli italiani che avevano smesso di partecipare alla cosa pubblica ed erano sfiduciati più che mai, ma che ora si sono fatti convincere dal barbaro giunto dal Nord, quello che voleva dividere l’Italia e che ha finito con l’unirla: è votato e stimato dalla cima alla punta dello stivale.
Tutto questo non dovrebbe stupirci: l’odio è elemento potente proprio come l’amore. Che vi piaccia o meno, si può stare insieme anche per acredine. Ciò che invece suscita perplessità è la dichiarata intenzione di codesto imberbe esecutivo, che mette insieme individui che si sono sempre detestati e che ora vogliono farci credere di avere seppellito l’ascia, di inaugurare l’era dei buoni sentimenti nonché di creare un’Italia verde, giusta e dolce. Anzi, a sentir parlare loro, ossia i protagonisti di questo papocchio, risulta che il miracolo sia già stato compiuto: è stato sufficiente che Giuseppe Conte arrivasse in aula e pronunciasse il suo tedioso discorso di un’ora e mezza perché tutte le persone, imbambolate, cominciassero ad esser pie e giuste, anticipando di oltre tre mesi l’avvento del Natale, che ci induce ad essere migliori per 24 ore o poco più.
“Parte il governo, si apre una pagina nuova. Si chiude così una stagione segnata dall’odio e dall’intolleranza”, ha scritto su Facebook il vicesegretario del Pd Andrea Orlando. “La stagione dell’odio è archiviata. Comincia quella dell’amore”, gli ha fatto eco Nicola Zingaretti, che vorrebbe persuaderci che Di Maio gli stia addirittura simpatico quando gli tirerebbe volentieri un calcio nelle palle. L’importante è non dirlo, l’importante è fingere di volersi bene e seguitare a ripetere al mondo intero che il bruto era Matteo, il quale, tuttavia, è stato sempre conciliante nei confronti degli alleati pentastellati, sopportandone di cotte e di crude senza mai dare in escandescenze. E tuttora Matteo si rifiuta categoricamente di parlare male del suo ex, Gigino, in osservanza di quella morale (purtroppo poche volte rispettata) la quale impone che, una volta che ci si lascia, non ci si debba pure lasciare andare a pubbliche critiche e improperi, rinnegando ciò che fu.
Dicono che il M5s si stia evolvendo e trasformando da movimento in partito. Ma a noi sembra che partito lo sia diventato allorché ha varcato la soglia dei palazzi istituzionali. Ciò che è mutato nelle ultime settimane semmai deve essere ravvisato nel fatto che prima esso sbandierava astio, sua arma di opposizione, nei confronti della casta, adesso che è casta addomesticata, sbandiera astio nei confronti degli ex compagni di governo, in primis Salvini il truce, che i grillini ed i democratici (si fa per dire) scioccamente considerano sconfitto e non si comprende perché.
“Divide et impera”, dicevano i latini ben prima dell’avvento della politica sott’odio. Dove c’è politica permangono risentimento e contrasto, e non ci si infatua mai, al massimo si trova un compromesso. Tuttavia, in un sistema bipolare sai bene chi odia chi ed i rapporti, sebbene inquieti, sono stabili. In un sistema tripolare ci sono sempre lui, lei e pure l’altro e nessuno dei tre fa troppo lo schizzinoso. Mettersi con l’altro, andare a letto con l’avversario, sono modi per regolare i conti con il partner. In un ordine di questo tipo non c’è spazio per i sentimenti, quelli virtuosi almeno. Unica via d’uscita è l’autodistruzione.
Gli inglesi, per ridurre al minimo codesti tafferugli propri della politica e che poco si addicono ad un sistema democratico e civile, hanno previsto che alla guida dell’esecutivo si alternino due soli partiti: quando non governa uno, governa l’altro, e viceversa. Ciò non impedisce alle due compagini di odiarsi, è chiaro, tuttavia lo fanno con una decorosa e mesta rassegnazione.
Articolo pubblicato su Libero il 12 settembre del 2019