All’indomani di ogni competizione elettorale si discute su chi siano gli effettivi vincitori e sconfitti e ognuno offre la propria visione delle cose. Per quanto riguarda le recenti votazioni regionali, qualcuno le considera una vittoria del centro-destra, il quale governa adesso i tre quarti del Paese, ossia 15 Regioni su 20, qualcun altro ritiene invece che esse abbiano segnato una ripresa nonché un trionfo del centrosinistra, il quale mantiene il controllo di Toscana, Puglia e Campania, territori che si temeva venissero fagocitati dalla Lega, altri ancora sottolineano come l’esito elettorale costituisca un pareggio, 3 e 3, palla al centro.
Oltre l’estinzione del M5s che di fatto sparisce persino dal Mezzogiorno, serbatoio di voti che garantì il raggiungimento del 33% delle preferenze alle politiche del 4 marzo 2018 colorando di giallo mezzo stivale e consentendo tuttora ai pentastellati di occupare dicasteri cruciali, un elemento emerge pacifico: i partiti sono passati in secondo piano rispetto agli individui. Ovvero questi contano più dei primi.
I cittadini manifestano il bisogno di identificare un preciso politico in carne ed ossa in cui riporre la propria fiducia. È il desiderio sempre più prepotente di un leader di riferimento, che sia di destra o di sinistra poco vale, esigenza che aumenta in periodi storici particolarmente difficili nonché caratterizzati da incertezza e paura nei confronti del futuro. Non è un caso che l’affermazione nel vecchio continente di capi politici autoritari, quali Hitler e Mussolini, i quali sono stati in grado di accentrare il potere nelle proprie mani non soltanto perché dotati di carisma, sia avvenuto all’indomani della epidemia di influenza spagnola del 1918-1920 e pure della Grande Depressione del 1929, la quale dagli Stati Uniti si riverberò in maniera devastante anche in Europa.
Lungi dall’essere assimilati a Adolf e Benito, i presidenti di Regione succeduti a loro stessi in questa tornata elettorale, ossia Luca Zaia in Veneto, Giovanni Toti in Liguria, Michele Emiliano in Puglia e Vincenzo De Luca in Campania, a prescindere dal loro credo politico, possiedono una caratteristica in comune che ha determinato il loro clamoroso successo: hanno gestito l’emergenza sanitaria degli ultimi mesi in prima persona e in modo forte e deciso, avocando a sé ogni facoltà al fine di proteggere la propria gente dal rischio di malattia e morte.
Insomma, sono stati capaci di soddisfare quell’anelito alla sicurezza covato dal popolo a dispetto di un potere centrale che è passato dalla leggerezza assoluta, ossia dalla sottovalutazione del pericolo insito nella possibilità di importare il virus dalla Cina in Italia (cosa che poi di fatto è accaduta), a provvedimenti maldestri una volta che la frittata era già fatta, risoluzioni che peraltro hanno accentuato, in particolare nel Meridione, il rischio di diffusione del contagio persino in quelle aree del Bel Paese in cui i casi erano zero. Dunque, mentre Roma agiva in maniera schizofrenica, i governatori blindavano i territori, correvano ai ripari, intervenivano, riparavano agli errori dell’esecutivo, interloquivano costantemente con i cittadini, pure mediante video divenuti virali sul web i quali hanno suscitato benevola ilarità e apprezzamenti altresì in coloro che non simpatizzavano per le forze politiche incarnate da ciascun presidente regionale.
Dunque il coronavirus ha agevolato Zaia, Toti, Emiliano e De Luca, portandone a galla le personalità, discusse e discutibili ma senz’altro amate dai concittadini. Essi non sono più semplici amministratori locali, bensì hanno acquisito un peso e un rilievo nazionali. Sono quasi divenuti feudatari, piccoli sovrani di Regione, monarchi illuminati, in particolare il leghista veneto eletto con il 78% dei voti (di cui il 47% conseguito tramite la lista del presidente) che punta adesso all’autonomia.
Non sono più i governatori a fare riferimento ai partiti bensì questi a fare riferimento ai primi. È una svolta da non sottovalutare, un fenomeno sociale e non solamente politico senza dubbio interessante. Mentre si spegne il sogno di un Movimento che si era proclamato intenzionato a purificare la classe politica tutta al grido del vaffanculo ma che pure ha inanellato uno scivolone dietro l’altro palesando incompetenza, incapacità di mantenere la parola e faciloneria, ecco che brillano nuove vecchie stelle nel firmamento italiano. Punti fermi e non traballanti, soggetti agevolmente identificabili, percepiti vicini alla gente in un momento in cui l’obbligo del distanziamento ci ha dispersi gli uni dagli altri allentando gli smagliati tessuti sociali.