Posto a capo dell’esecutivo del cambiamento, Giuseppe Conte, la Valeria Marini di Palazzo Chigi poiché alle riunioni è solito farsi attendere persino oltre un’ora, ha subito una metamorfosi. Da presidente di un governo antieuropeista, populista e sovranista si è trasformato in fiero condottiero di un governo europeista, antipopulista e tanto spostato a sinistra da travalicare le proprie stesse intenzioni. Ciò che non è mutata è la mera mansione di strumento rivestita dal professore: prima egli era funzionale a M5s e Lega come cuscinetto nel braccio di ferro tra i due alleati e la sua indole dimessa costituiva una garanzia, oggi è funzionale all’Europa che vuole per l’Italia un esecutivo tiepidino, pronto a prostrarsi, malleabile, inoffensivo, proprio come Giuseppi, perfetto per la parte di protagonista-comparsa. E poco conta che quest’ultimo adesso si sia convinto di avere messo game over Matteo Salvini nonché di essere un vero statista, elegante, sobrio, moderato. Lo si capisce da come si muove, dall’espressione che ha sul viso allorché sta per calcare il tappeto rosso per introdursi nelle stanze dorate, dai modi compassati che ostenta quando si trova in favore di telecamere. Egli, che rivendica di agire per “spirito di servizio”, non è servitore dello Stato, sono i poteri dello Stato e quelli sovranazionali a servirsi di lui. E Conte sotto sotto lo sa, tuttavia se ne infischia poiché si è innamorato dei cerimoniali e predilige sedere sulle poltrone di palazzo Chigi piuttosto che davanti ad una misera cattedra. L’ambizione non gli è mai mancata. Il desiderio di scrollarsi di dosso il fastidioso provincialismo neppure. E ce l’ha fatta: è premier per ben due volte nel giro di un anno e qualche mese. E giovedì non vedeva l’ora di cominciare a lavorare, i funzionari non si erano ancora insediati che già era pronto il primo atto del nuovo esecutivo, chiamato “della svolta” (svolta a sinistra) perché “del cambiamento” era già editato: il Consiglio dei ministri ha impugnato un provvedimento del Friuli Venezia Giulia in quanto alcune “disposizioni in materia di immigrazione appaiono discriminatorie”. Per il ministro Francesco Boccia si tratta di un “atto dovuto”. Insomma, il Paese intero deve essere risollevato, così dicono, ci sono centinaia di crisi aziendali da risolvere, soldi da trovare per evitare l’aumento dell’Iva, e il Conte bis cosa fa? Si occupa di una legge regionale giudicandola deleteria nei confronti degli immigrati. Che sollecitudine! Del resto, era necessario lanciare un esplicito messaggio a Bruxelles, che sempre ci osserva: “Cari burocrati europei, potete stare tranquilli, faremo i bravi!”. Giuseppi si era presentato come “avvocato del popolo”, ma non aveva specificato quale. Ora sappiamo che sarà l’avvocato del popolo africano. Nel giugno del 2018, poco più di un anno fa, al vertice UE sull’immigrazione, tenutosi a Bruxelles, il premier aveva addirittura fatto la voce grossa al fine di imporre il principio (rimasto sulla carta) che chi sbarca in Italia sbarca in Europa. Giuseppi aveva pure minacciato di non firmare il documento finale e il quotidiano The Guardian aveva narrato che ad un certo punto il foggiano era ricorso a quel fare tipico dell’italiano di periferia che per mettere in soggezione psicologica la controparte afferma una sorta di: “Lei non sa chi sono io”. Così aveva specificato: “Io sono un professore di legge”. “E chi se ne frega?!”, avranno pensato i presenti. Il primo ministro bulgaro rispose: “E allora? Io ero vigile del fuoco e so che non è in tale modo che si fa un negoziato”. Quello svedese, invece: “E con questo? Io ero saldatore nell’estremo Nord della Svezia, ma so che il suo comportamento è inopportuno”. Un bel piglio il nostro Conte, il quale intendeva a tutti i costi mostrare di non essere la bella statuina e tutelare il Bel Paese spingendo gli altri membri dell’UE a farsi carico dei migranti. Va da sé che alla fine non ci riuscì ad incassare il risultato sperato e nulla mutò, eppure ebbe l’abilità di fare passare in patria l’evento quale un suo trionfo. Giuseppi, prima della metamorfosi che lo ha indotto ad accusare il leader della Lega di essere “ossessionato dagli immigrati”, era sostenitore della linea salviniana tanto da firmare i decreti sicurezza contro le Ong, chiamate da Luigi Di Maio “taxi del mare” che trasportano clandestini in Italia dalla Libia, inoltre dodici mesi orsono non si era affatto opposto al blocco della nave Diciotti della Guardia Costiera al largo di Pozzallo con a bordo 177 sedicenti profughi. Il legale mostrava di condividere quelle che ora sembra considerare sciovinistiche cafonerie delle masse e di Salvini, il quale scandalizza se sta in costume in spiaggia nei giorni in cui tutti i politici sono in costume in spiaggia o sui panfili. Ed oggi il miracolo: Conte si scopre difensore dei diritti degli immigrati, a cui dà la priorità assoluta, proprio come è solito fare il Pd, e la sua prima preoccupazione è l’impugnazione di una norma regionale considerata discriminante. Se proprio ci tiene tanto al rispetto degli stranieri, il premier dovrebbe “impugnare” pure il suo portavoce Rocco Casalino, il quale qualche anno fa davanti alle telecamere de Le Iene affermò: “Hai mai provato a portarti a letto un rumeno? Se si lava, se gli fai fare dieci docce, continua ad avere un odore agrodolce”. E poi: “Il vero problema degli extracomunitari è dei meno ambienti (sic!) che vivono nelle zone invase da immigrati”. Poca roba rispetto alle frasi pronunciate in un video del 2004, in cui Casalino discute di “negretti”. “Preferisco essere onesto e dire che un marocchino accanto mi dà fastidio perché puzza”, aveva detto. Casalino e Conte, che costituiscono un’accoppiata vincente, sanno reinventarsi, facendosi concavi e convessi in base all’occasione al fine di trarne il maggiore vantaggio possibile. Prova ne è che sono rimasti immobili al loro posto mentre gli altri componenti della squadra gialloverde traslocavano dai rispettivi uffici. Rocco, che era candidato con i cinquestelle ma non era riuscito ad essere eletto, è molto più che un semplice portavoce, è complice di una strategia che ha condotto Giuseppi a liberarsi del ruolo di garante che aveva nel precedente esecutivo per fare finalmente il premier non vice rispetto ai suoi vice. Conte, abilissimo nel tenersi aperti più tavoli, rimarca il fatto di non essere iscritto al M5s, tuttavia prima delle elezioni del marzo 2018 i grillini lo avevano designato quale futuro ministro della pubblica amministrazione, gli stessi che gli hanno piazzato accanto Casalino. Insomma, nessuno è più invischiato con i pentestellati di Conte stesso.
Giuseppi si proclamava orgogliosamente “populista” e a New York, di fronte all’Assemblea generale dell’ONU, aveva spiegato: “Quando qualcuno ci taccia di sovranismo e populismo, amo sempre ricordare che sovranità e popolo sono richiamati dall’art.1 della Costituzione italiana”. Oggi è presidente di un governo in cui i populisti ed i sovranisti sono considerati un male da estirpare alle radici ed un pericolo e che come primo atto formale ha indicato Paolo Gentiloni quale commissario Ue agli Affari economici. Esulta Matteo Renzi: “Il fatto che l’Italia sia rappresentata in Commissione Europea non da un sovranista come sembrava fino ad un mese fa ma da Gentiloni è un’ottima notizia per l’Italia. E per l’Europa”. Conte ora rigetta il sovranismo per adeguarsi ai nuovi compagni di merende. Gli stessi che hanno spalancato le porte a centinaia di immigrati nonché ad una gestione spesso delittuosa dell’accoglienza.
I propositi del BisConte sono più che evidenti. A chiarirli ha contribuito il neo ministro degli Esteri, Di Maio, il quale nel suo discorso di saluto alla diplomazia italiana ieri ha annunciato: “L’Africa non può essere più vista solo come motivo di preoccupazione, bensì come opportunità”. Sembra di sentire Laura Boldrini e lo stesso Gentiloni, allorché gridavano con forza: “Gli africani sono risorse. Ci pagano le pensioni”.
Solo Salvini avrebbe potuto segnare un cambio di passo rispetto ad una politica italiana che da sempre si appiattisce sulle posizioni altrui. Avremmo tutte le carte in regola per farci valere, ma siamo rappresentati da una classe dirigente che si fa suddita, più vigliacca che prudente. Essa si piega, rinuncia al negoziato per farlo condurre ad altri con la speranza di cavarsela e strappare qualcosa. Giuseppi Conte è l’incarnazione di questa politica qui.
La politica dei perdenti.
Articolo pubblicato su Libero il 7 settembre del 2019