“L’Italia è un Paese benestante. I consumi non sono diminuiti, i ristoranti sono pieni, si fatica a prenotare un posto sugli aerei”. Lo aveva affermato Silvio Berlusconi nel 2011, allorché rivestiva il ruolo di presidente del Consiglio, suscitando attacchi rabbiosi da parte della stampa, che lo accusava di essere del tutto scollato dalla realtà ed incapace quindi di sintonizzarsi sui bisogni effettivi degli italiani.

A distanza di otto anni scopriamo che aveva ragione lui: ci sentiamo più sfigati di quanto in realtà non siamo. E guai a contraddire le amare convinzioni di cui ci nutriamo avidamente ogni giorno ed in base alle quali dalle nostre parti va tutto storto: nasciamo già indebitati fino al collo, non usciamo dalla stagnazione economica, siamo fanalino di coda in un’Europa trainata da tedeschi e francesi che ci stanno sempre più sulle balle, lo spread sale, il pil scende e, come se non bastasse siamo afflitti da disoccupazione, corruzione e mafia endemiche.

Ci hanno talmente imbottiti di codeste credenze che nessuno di noi osa metterle in dubbio, al fine di evitare di apparire alla stregua di un perfetto idiota. Eppure basta considerare alcuni dati oggettivi per rendersi conto che ci percepiamo più miseri di quanto siamo.

Nel mese di maggio i depositi del settore privato sono cresciuti del 3,5% su base annua, cosa verificatasi altresì ad aprile, raggiungendo la cifra di ben 1.130 miliardi di euro (dati della Banca d’Italia). Il reddito di cittadinanza è costato molto meno del previsto. Secondo il ministro del Lavoro ne avrebbero fatto richiesta e sarebbe stato elargito a 6 milioni e mezzo di persone e sarebbe costato 10 miliardi di euro.

Qualche giorno fa il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, nella relazione annuale presentata alla Camera ha reso noto che usufruiscono del sussidio 2 milioni di individui (il 60% dei nuclei beneficiari risiede nel Sud e nelle isole) ed il suo importo medio è di circa 500 euro. Dunque, i poveri sono in numero inferiore rispetto a quanto si ritenesse.

Ed ora ad abbattere i sedimentati pregiudizi sull’economia del Bel Paese ci pensa la Fondazione Edison, creata alla fine degli anni Novanta e presieduta da Marc Benayoun, ceo di Edison, la quale ha riunito un gruppo di esperti investendoli del compito di individuare le bufale che in questo campo vanno per la maggiore al fine di distruggerle e restituire agli abitanti della penisola quei vitali elementi senza i quali non si può progredire e prosperare: fiducia ed ottimismo. Si è arrivati così alla stesura di un dossier dal titolo incisivo: “I dieci falsi miti sull’economia italiana”.

Ecco l’elenco completo delle corbellerie che ci vengono inculcate.

Primo: l’Italia è una delle economie più deboli in Europa. Macché! L’Italia possiede la seconda industria manifatturiera più grande nel vecchio continente (dopo la Germania), il più ampio settore agricolo in termini di valore aggiunto (segue la Francia) e detiene il secondo posto per numero di pernottamenti di turisti stranieri (al primo la Spagna). Del resto, lo stivale è la meta che tutti sognano di raggiungere per la straordinaria bellezza delle sue città d’arte, la cucina, l’enogastronomia, il clima, il mare e le montagne.

Secondo: l’Italia è nella lista dei Paesi con la crescita più bassa. Invece no. La nostra patria si fa grande. Negli ultimi anni il Pil pro-capite è aumentato a un tasso maggiore rispetto a quello degli Stati del G7. Ed il consumo pro-capite dei nuclei familiari è lievitato più celermente qui che in molte altre Nazioni europee, incluse Germania, Francia, Olanda, Svezia, Austria, Belgio e Finlandia.

Terzo: l’Italia non è competitiva. E chi lo ha detto? Nel settore manifatturiero non ci batte nessuno. Del resto si sa: gli italiani lo fanno meglio. La penisola ha il quinto maggiore surplus commerciale al mondo per i prodotti manifatturieri ed è il leader o il co-leader a livello globale per centinaia di manufatti.

Quarto: le imprese nostrane non investono abbastanza in macchinari e attrezzature. Insomma, non si innovano. Altra fesseria! Negli ultimi anni gli investimenti in macchinari e mezzi di trasporto sono cresciuti il doppio rispetto alla Germania.

Quinto: il nostro Paese non investe abbastanza in ricerca e sviluppo. Falso. L’Italia, in verità, è il primo Stato per entità di spesa delle imprese in ricerca e sviluppo nei settori tessile, dell’abbigliamento, delle calzature e dei mobili. Ed è il secondo per numero di disegni depositati presso l’Ufficio dell’UE per la proprietà intellettuale.

Sesto: le imprese italiane sono troppo piccole per competere nell’era del mercato globale. Errato. Le nostre imprese manifatturiere (che hanno tra i 10 ed i 249 impiegati) non saranno gigantesche ma esportano più di tutti i Paesi dell’Ocse, per un totale di 170 miliardi di dollari.

Settimo: le specializzazioni dell’Italia nel commercio mondiale sono troppo simili a quelle delle economie emergenti, con bassi costi del lavoro. Ci sarebbe da ridere. Come sottolineano gli studiosi della fondazione Edison, il made in Italy è al top del lusso e della qualità dei prodotti tradizionali come quelli dei settori moda, arredamento, cibo e vino, ed è al vertice dell’innovazione e della tecnologia nella meccanica, nei mezzi di trasporto, nei prodotti farmaceutici.

Ottavo: l’Italia è caratterizzata da una profonda disuguaglianza economica e sociale. Un’altra baggianata. Sul nostro territorio solo il 38% degli individui dimora in regioni con un Pil pro-capite inferiore alla media dell’UE rispetto al 72% in Francia, al 67% nel Regno Unito e al 64% in Spagna.

Nono: gli abitanti della penisola pagano poche tasse e il bilancio pubblico è in sofferenza. Persino questa certezza è da rivedere. In realtà, la nostra pressione fiscale risulta più o meno in linea con la media europea e si attesta al 42,2% rispetto a 40,3% in Germania; 48,2 in Francia; 46,5 in Belgio; 42, 2% in Austria. Meglio la Spagna con il 34,2%.

Decimo: l’Italia è troppo indebitata. Togliamocelo proprio dalla testa. Infatti, siamo un popolo di risparmiatori e le casse del nostro Paese sono meno dissestate di quelle di molti altri. Il debito delle famiglie nostrane è uno dei più bassi del mondo intero e la loro ricchezza netta è il doppio del Pil. Inoltre, siamo titolari del nostro debito pubblico, di cui solo un terzo è stato ceduto ad investitori esteri. Alla proprietà, del resto, siamo legati. Forse per questo ci piace comprare casa: l’83% degli italiani è padrone delle sue quattro mura.

Insomma, non siamo proprio alla frutta, come ci raccontano. E dovremmo smetterla di piangerci addosso.

Articolo pubblicato su Libero il 12 luglio del 2019

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