Correva l’anno 2023 ed era fine febbraio, quando, muovendo dalle coste turche, 180 persone di diversa nazionalità, tra cui donne e minori, partirono alla volta dell’Italia, viaggiando per cinque lunghi giorni rinchiusi nel ventre di una fatiscente barca a vela. L’imbarcazione, a causa di una manovra azzardata dello scafista timoniere, il quale, accortosi dei lampeggianti delle forze dell’ordine sulla spiaggia, virò repentinamente andando a finire contro una secca, fu squarciata e coloro che erano a bordo si trovarono in un attimo nelle acque gelide e in tempesta (mare forza 4). Questi fatti avvennero davanti a Cutro, in Calabria. Ben 94 anime perirono, tra cui 35 bambini.
Seguirono le solite polemiche, corredate di accuse al vetriolo nei confronti della Guardia costiera e della Guardi di Finanza, del ministero dell’Interno e del governo italiano, il quale sarebbe stato colpevole della morte di individui che volontariamente, pagandoli profumatamente (9 mila dollari per ogni passeggero, per un totale di circa 1 milione e 600 mila dollari), si erano affidati ai trafficanti di esseri umani e avevano sfidato le intemperie e i pericoli della navigazione, peraltro in pieno inverno, per raggiungere clandestinamente la nostra penisola.
La sinistra non si fece sfuggire l’occasione golosa e, con il consueto cinismo, approfittò subito della tragedia per attaccare la maggioranza tacciata di essere fascista, razzista e insensibile e di avere voluto la morte di questa povera gente, ossia di non avere compiuto alcunché per evitare che i migranti crepassero in mare. Si diceva che le autorità fossero rimaste sorde e indifferenti alle richieste di soccorso.
Accusa rivelatasi falsa, dato che, nel corso dei procedimenti contro gli scafisti, è emerso ed è stato dimostrato che Ufuk Gun e Mohamed Abdessalem, condannati a 20 anni di carcere nei primi di luglio scorso, non avevano mai chiamato i soccorsi in Italia, limitandosi a comunicare soltanto con i colleghi delinquenti rimasti in Turchia.
Sempre dalla procura di Crotone, per competenza territoriale, fu aperta un’indagine parallela, appena chiusa con il rinvio a giudizio di sei servitori dello Stato, due della Guardia costiera e quattro della Guardia di Finanza, i quali dovranno rispondere ora delle accuse di naufragio e di omicidio colposo, pur avendo sia la Guardia costiera sia la Guardia di Finanza rispettato le procedure previste, non potendo immaginare che lo scafista avrebbe compiuto quella manovra che ha determinato l’improvviso naufragio.
Insomma, i trafficanti di esseri umani provocano quella che non è che l’ennesima tragedia in mare e a doverne rispondere sono i nostri uomini in divisa, gente che, con spirito di sacrificio è quotidianamente al servizio del prossimo, ricevendo in cambio compensi irrisori, con i quali gli imputati dovranno provvedere anche alle spese legali, e nessuna gratitudine. Anzi, li maltrattiamo, li incriminiamo, li processiamo e li disprezziamo dandoli in pasto ad una stampa di sinistra che, ancora prima dell’inizio del processo, li considera già assassini oltre ogni ragionevole dubbio, ribaltando il principio costituzionale della presunzione di innocenza, che vale evidentemente solo per i compagni.
Questa è la mentalità che favorisce i trafficanti, l’immigrazione illegale e i morti nel Mediterraneo. Finché non abbatteremo questa cultura e ripristineremo il rispetto della legalità continueremo a contare cadaveri e a puntare il dito contro gli innocenti, alla ricerca di capri espiatori da ghigliottinare.