Il problema vero dell’accoglienza all’italiana sta nella pretesa, divenuta consuetudine, che il nostro Paese, che non è smisurato ma piuttosto piccolo, si faccia carico di tutti i richiedenti asilo del mondo, che non sono altro che, nella stragrande maggioranza dei casi, migranti economici, dunque non perseguitati in fuga dalle guerre, i quali tentano, purtroppo con successo, di entrare e stabilirsi in Italia illegalmente, sanando, una volta toccato il nostro suolo, questa clandestinità attraverso la presentazione di una richiesta di asilo o di protezione umanitaria.

Questa richiesta, pure quando viene bocciata, ossia rigettata, non determina il rimpatrio del migrante, il quale permane sul nostro territorio in uno stato di totale irregolarità, che lo rende permeabile alla delinquenza, alla devianza, al crimine, e che inoltre non rappresenta una condizione umana e ideale per la sua evoluzione personale e per la sua dignità di persona.

Meglio sarebbe rispedire questa gente a casa propria o non farla entrare del tutto anziché seguitare ad accogliere masse gigantesche di individui che non siamo in grado di assorbire e mantenere e alle quali non siamo in grado di garantire un futuro, non perché siamo razzisti ma perché è fisiologicamente impossibile per uno Stato poterlo fare.

Insomma, la questione più spinosa, in questa materia, è l’assenza di limiti all’accoglienza, pur avendo l’Italia, dalla quale si pretende che incameri tutti, limiti geografici, economici, e limiti posti dalla legge, la quale prevede che uno Stato, incluso il nostro, ponga regole, condizioni e requisiti perché gli stranieri possano entrare, soggiornare, stabilirvisi, ove ne ricorrano i presupposti.

Del resto, come può una Nazione piccola come la nostra, la quale ha una popolazione di circa 60 milioni di abitanti, inglobare tutti coloro che in massa provengono dal Bangladesh, che ha una popolazione di 173 milioni di abitanti, o dal Pakistan, che ha una popolazione di 240 milioni, o dall’Egitto, che ha una popolazione di 112 milioni?

Eppure, in base alle sentenze con la quali è stato negato il trasferimento dei clandestini in Albania allo scopo di operare i rimpatri di coloro che non vantano alcun diritto di asilo, pare che l’Italia sia obbligata ad aprire le frontiere a tutti coloro che espatriano da quei territori, in quanto avrebbero diritto all’accoglienza provenendo da Paesi reputati dai magistrati “non sicuri”, inospitali.

Ma è legittimo, razionale, legale costringere uno Stato ad inglobare clandestini, migranti privi di documenti, persone che scelgono le vie illegali per migrare, ledendo così l’indiscutibile prerogativa dell’entità statuale di determinare chi possa entrare e chi no, senza riconoscere e fissare alcun limite in relazione alla quantità, ovvero al numero di soggetti che verso tale Paese muovono?

Chi scappa dalla guerra o dalla fame o dalle torture si rifugia nello Stato sicuro più vicino. E questo non è l’Italia.

Non possiamo che concludere che sussista, da parte dei clandestini, la cattiva fede di farsi passare per profughi per venire in Italia e godere dei vantaggi garantiti da un simile status e, da parte di una certa magistratura, la cattiva fede di consentire questo giochino sporco, di cui gli italiani sono stanchi e che produce insicurezza crescente nonché altre spinose problematiche di ordine pubblico, sociali ed economiche.

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