Imane Khelif è intersessuale, questo significa che il suo organismo produce molto più testosterone di quanto ne produca di norma un organismo femminile. Per questo motivo, l’atleta fu esclusa dai mondiali di boxe femminile su decisione della International Boxing Association (IBA). Imane aveva fallito inoltre un test di idoneità di genere che aveva dato come esito la presenza della coppia di cromosomi XY, tipica del genere maschile, oltre alla rilevazione degli altissimi livelli di testosterone.
Il Comitato Olimpico invece ha concesso a Imane di competere nella categoria della boxe femminile, dunque di battersi contro atlete femmine, che presentano normali livelli di testosterone, che le pongono in una condizione di inferiorità fisica rispetto all’algerina transessuale.
Tuttavia, non si tiene conto del fatto, tutt’altro che irrilevante, che gareggiare contro Imane equivale per un’atleta a farlo contro un soggetto di sesso opposto o con un soggetto del proprio medesimo sesso, ovvero femminile, ma “dopato”.
Il testosterone, che è un ormone fisiologico che ogni organismo produce, infatti è a tutti gli effetti una sostanza dopante, un anabolizzante, ovvero aumenta le prestazioni sportive. Esso favorisce la crescita della massa muscolare a scapito di quella grassa e accresce la resistenza alla fatica.
A questo punto sarebbe giusto domandarsi se, qualora Imane, favorita dal testosterone, sbaragliasse tutte le atlete della sua categoria (boxe femminile), aggiudicandosi l’oro, si tratterebbe di un trionfo meritato.
Nello sport una competizione è equa soltanto quando gli sfidanti partono da condizioni di parità.
Questa non è una questione ideologica, è una questione di giustizia ed equità.