È con travaglio che il direttore del Fatto Quotidiano, tenace sostenitore dell’alleanza giallorosso e fan accanito del premier Giuseppe Conte, ha ammesso neppure tanto velatamente che il ventiduesimo dpcm è una stronzata pazzesca. Tuttavia, Marco Travaglio prima della bastonata porge la carota: il nuovo decreto è “il meno coerente e razionale della collezione”, “un patchwork di norme e raccomandazioni che mescola misure utili e sacrosante ad altre inutili e deprimenti”, “misure irrazionali e forse controproducenti”, scrive il giornalista, eppure l’avvocato del popolo Conte, “dobbiamo ammettere che – puntualizza Travaglio nella premessa – ha usato le parole e i toni giusti”. Insomma, il dpcm fa schifo, ma il foggiano è stato abile nel presentarlo agli italiani, così moderato, così cortese ed equilibrato. Che uomo virtuoso!

“Incomprensibile”, ad esempio, è, a giudizio del direttore, la chiusura di bar e ristoranti alle 18, proprio come la sigillatura di palestre e piscine, attività tutte che con sforzi giganteschi avevano investito molte risorse nella sicurezza. E non possiamo che essere d’accordo. Anche noi ci domandiamo che diavolo di senso logico sia alla base della decisione di congelare cinema, teatri, bar, pasticcerie, ristoranti, pizzerie, pub, come se il virus se ne andasse a zonzo dal tramonto all’alba, quando ormai è acclarato che esso si diffonde in particolare di giorno e in ambito familiare, elementi che vengono posti in luce altresì nel titolo di apertura del Fatto di ieri: “Contagi diurni e in famiglia: chiusure serali e tutti a casa”. Titolo che accentua l’antinomia in cui è scivolato e di cui è colpevole il governo.

Le chiusure generali delle ore 18 spingono gli italiani a ricercare altre forme di incontro e socializzazione, per di più in luoghi in cui è impossibile qualsiasi forma di sorveglianza e di controllo.

Ci si vedrà non più al bar, bensì tra quelle mura domestiche che costituiscono l’ambiente ideale in cui il corona acchiappa quanti più individui può, accentuando il rischio per gli anziani, i più esposti alle complicazioni di questo morbo. Si cenerà con gli amici non al ristorante, ma in casa, in tal modo gli unici risultati prodotti dalle ultime restrizioni studiate dall’esecutivo saranno rovina e disoccupazione crescente. Ristoratori già in difficoltà, camerieri, fornitori, agricoltori, allevatori, cuochi, chef, baristi, pasticceri, lavapiatti si ritroveranno sul lastrico. Ma Conte annuncia che aiuterà chiunque venga leso dalle nuove limitazioni, sottolineando che il suo è un impegno, non una promessa. Anzi esagera, egli dichiara sicuro che gli indennizzi sono già pronti per tutti. E condisce il minestrone con la consueta formula: nessuno verrà lasciato da solo. Arduo crederci.

Allorché lo Stato espropria il cittadino di un suo diritto, in questo caso il diritto di lavorare o di svolgere la propria attività al fine di perseguire l’interesse collettivo del contenimento del contagio, deve preoccuparsi di garantire un indennizzo al soggetto spogliato, proprio come avviene nelle espropriazioni per pubblica utilità, istituto giuridico che consente allo Stato di acquisire per sé o per un altro soggetto una proprietà privata per esigenze di pubblico interesse. Qualora lo Stato non fosse in grado di compensare economicamente e in modo adeguato i cittadini espropriati della facoltà di guadagnarsi da vivere, e di fatto non lo è, allora esso dovrebbe evitare di paralizzare interi comparti a scopo precauzionale, costringendo milioni di abitanti della penisola ad abbassare le saracinesche alle 18 e condannandoli così all’inevitabile fallimento.

Intanto monta uno spirito di ribellione crescente nel ventre della popolazione, la quale sarebbe pure disposta ad accettare limiti e divieti in vista della salvaguardia di un bene più grande, la salute pubblica, purché questi rispondessero ad una logica comprensibile. Il nuovo dpcm invece risulta essere una accozzaglia di ordini assurdi, contraddittori e irragionevoli, il cui obiettivo sembra lo sfinimento degli italiani più che la loro tutela.

Conte è bello, educato, gentile, parla bene, ci sa fare davanti alle telecamere, è capace di ricorrere alla giusta intonazione, certo. E allora? Chi se ne frega! Da un premier ci attendiamo più efficacia nei provvedimenti e non nell’eloquio.

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