Non solo economico e sociale. Il primo ambito in cui l’Italia appare spaccata in due è proprio quello istituzionale, dove i cittadini del Nord risultano di fatto meno rappresentati rispetto a quelli del Sud, non all’interno degli organi direttamente eletti dal popolo, in cui ogni regione ha i propri deputati e senatori, bensì all’interno del Consiglio dei ministri, composto in particolare da cittadini del Mezzogiorno, aspetto che Libero aveva già posto in luce nel gennaio del 2018, venendo per questo messo all’indice per un presunto antimeridionalismo che non ci appartiene e non ci anima. Nel passaggio dal governo gialloverde a quello giallorosso questa tendenza a prediligere gente del Meridione ai vertici dei dicasteri si è enfatizzata, ovvero è lievitato il numero dei ministri provenienti dalle regioni del Sud e si è assottigliato quello dei ministri provenienti dalle regioni del Nord, adesso in minoranza schiacciante. Ne esce vituperato il generale principio dell’equa rappresentanza, quindi pure la democrazia.
Il premier Giuseppe Conte è foggiano; pugliesi sono anche il ministro degli Affari Regionali, Francesco Boccia, di Bisceglie, e quello dell’Agricoltura, la patrona degli immigrati Teresa Bellanova, brindisina. Il ministro degli Esteri, Gigino Di Maio, è di Avellino, come il coetaneo sottosegretario al Ministero dell’Interno, il grillino Carlo Sibilia. A capo del Viminale abbiamo Luciana Lamorgese, di Potenza, come il ministro della Salute Roberto Speranza. Alla guida del ministero dell’Economia troviamo Roberto Gualtieri, romano; e di Roma era pure il ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti, sostituito a gennaio di quest’anno con la siracusana Lucia Azzolina e con Gaetano Manfredi, ministro della Università, il quale è napoletano. Di Napoli sono anche il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, quello degli Affari Europei, Vincenzo Amendola, nonché il ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora. Il guardasigilli più imbarazzante della storia repubblicana, Alfonso Bonafede, è trapanese; siciliani sono pure il ministro del Lavoro Nunzia Catalfo, catanese, quello del Mezzogiorno, Giuseppe Provenzano, nato a Caltanissetta, e il viceministro dell’Interno nonché capo politico del M5s, Vito Crimi, palermitano. Di Palermo è altresì il presidente della Repubblica, Sergio Matterella.
Questa composizione iniqua potrebbe spiegare il sentimento di ostilità sempre più sfacciata nei confronti delle regioni del Nord nonché dei ceti produttivi, concentrati soprattutto nella parte superiore dello stivale, i quali sono stati abbandonati da un governo che promette sussidi a destra e a manca e non è capace (né intenzionato) di dare una spinta propulsiva a produzione e consumi, in calo vertiginoso con conseguente crollo di posti di lavoro.
Piovono da più parti retorici inviti all’unità nazionale, alla fratellanza, alla solidarietà in un momento di grave crisi, intanto monta una sorta di pregiudizio nei confronti degli abitanti del Settentrione, i quali sono trattati da appestati e in tutto questo non poche responsabilità ricadono sui partiti di maggioranza che mirano a ghettizzare territori quali la Lombardia, reputata roccaforte della Lega, regione sulla quale piombano accuse atroci, come quella di truccare i dati dei contagi e di non essere stata in grado di gestire l’emergenza che l’ha travolta o di non avere creato tempestivamente la zona rossa in Val Seriana per spregiudicati interessi economici, decisione che spettava all’esecutivo, così come ha sottolineato il procuratore di Bergamo Maria Cristina Rota. E poco conta la circostanza inconfutabile che proprio i governatori settentrionali già a gennaio abbiano messo in guardia l’esecutivo dal rischio che il virus dalla Cina venisse importato in Italia, chiedendo quindi l’adozione immediata di regole precise per chiunque giungesse dal focolaio cinese, prima tra tutte l’obbligo di quarantena. Il BisConte, chiuso nel suo antisettentrionalismo, non ha prestato ascolto a codesti appelli, sposando battaglie opposte e ridicole: abbraccia un cinese, fai l’aperitivo, mangia involtini primavera. Tale astio nei confronti dei cittadini del Nord seguiterà a generare danni. Potete scommetterci.
Il rovescio positivo della medaglia potrebbe risiedere nel fatto che ad una così ampia partecipazione di cittadini del Sud dovrebbe corrispondere un’attenzione massima verso il Meridione da parte del governo. Tuttavia, neppure ciò è avvenuto: le condizioni di salute del Mezzogiorno, dove l’intervento più urgente sarebbe la realizzazione di infrastrutture nonché il potenziamento dei trasporti che lo colleghino al resto del Paese, non sono mai state tanto precarie come in questo periodo storico. E il futuro, purtroppo, non promette nulla di buono.
Articolo uscito su Libero del 4 giugno 2020