“Nella stessa giunta regionale del capitano Ultimo ci si trova un’indagata per corruzione e concorso esterno”, ha scritto su Twitter il senatore Nicola Morra commentando la notizia relativa all’assessore della Regione Calabria Domenica Catalfamo, indagata per corruzione e concorso con le cosche. Il pentastellato Morra si indigna se un assessore è sotto indagine. Ma se ad esserlo sono le sindache grilline di Torino e di Roma, invece, va tutto bene. Ecco la doppia morale irrefrenabile dei cinquestelle.

Opportunistica e tanto rigida quanto flessibile è la morale grillina, che assolve gli indagati del Movimento e condanna senza processo gli indagati dei partiti avversari. Ad avere già emesso la sentenza è il pentastellato Morra, ritenuto dai suoi colleghi di partito fine intellettuale alla stregua di Immanuel Kant poiché insegnava filosofia nelle scuole superiori prima di darsi alla politica. Del resto l’ex docente filosofeggia dalla mattina alla sera e si dice che ogni volta che qualcuno ha la sfiga di imbattersi in lui lungo i corridoi di palazzo Madama se la dia a gambe levate poiché Nicola attacca subito un pippone prendendo l’avvio dai presocratici, forse per nostalgia dell’epoca in cui una classe inerme di adolescenti ne subiva le elucubrazioni.

Morra persino nei suoi interventi in aula parla per citazioni, come tutti coloro che non hanno abbastanza fiducia nelle proprie idee (oppure non ne possiedono neanche una) e sono costretti perciò a declamare il pensiero altrui. O forse assomiglia di più al dottor Azzaccagarbugli de “I promessi sposi”, il quale cerca di apparire dotto mediante discorsi sconclusionati davanti a chi non comprendendolo – e proprio per questo – lo ritiene un dio.

Allorché il 14 novembre del 2018 fu eletto presidente della commissione parlamentare antimafia, il cinquestelle sul suo profilo Facebook diede la notizia nel modo (stucchevole) in cui gli riesce meglio, ossia mediante un’aforisma. Stavolta ad essere tirato in ballo, considerata la materia, non è stato il solito Aristotele – pace all’anima sua -, bensì il magistrato Paolo Borsellino, ucciso dalla criminalità organizzata in via D’Amelio a Palermo il 19 luglio del 1992.

“Dobbiamo far trionfare definitivamente quel fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”, ha digitato il senatore. Il 19 luglio del 2013 l’esperto di anti-mafia si era reso autore di una gaffe nell’aula del senato, quando aveva ricordato il magistrato ucciso da Cosa Nostra chiamandolo con il nome del fratello Salvatore, che è vivo e vegeto.

Poca roba, si potrebbe obiettare. Del resto, data l’accozzaglia di nomi che Nicola ha nella testa e nelle tasche, può capitare di confondersi. Di certo, però, non può essere archiviata come mera dafaiance quella del 2015, quando Morra, oratore da “baci Perugina”, espresse dure perplessità riguardo la candidatura del palermitano Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica, bocciandola. “Proviene simbolicamente da una tradizione che in relazione alla mafia ha tanto da chiarire e farsi perdonare”, osservò il professorino, il quale non sapeva che Piersanti Mattarella, fratello maggiore di Sergio il 6 gennaio del 1980, allorché era presidente della Regione Sicilia, fu ammazzato dalla mafia sotto gli occhi di moglie e figli su ordine del boss Totò Riina.

Fa accapponare la pelle il fatto che tre anni dopo Nicola sia stato addirittura posto alla guida della commissione anti-mafia. Avrebbe dovuto essere giudicato quantomeno “impresentabile” per questa dichiarazione che, da un lato, rivela come Morra di criminalità organizzata non sappia un bel niente; dall’altro, fa sorgere il lecito sospetto che nella mente del senatore alberghino inquietanti pregiudizi.

Eppure l’erudito Morra sciorina i grandi pensatori della storia, e lo fa con quel modo solenne di discettare, fatto di lunghe pause, che accentuano la pesantezza dei contenuti talvolta inconcludenti. “E se lo dice pure Aristotele, mecojoni!”, pensa l’interlocutore interdetto e passivo, che non osa contraddire il saggio grillino.

Emblematico è un video del novembre del 2013 in cui il pentastellato durante la seduta per il voto sulla decadenza da senatore di Silvio Berlusconi tiene un discorso che parte da Erasmo da Rotterdam, per poi passare a Socrate, il quale, condannato a morte, in un dialogo di Platone immagina di incontrare le leggi della città e parlare ai suoi discepoli, e bla-bla-bla.

“Farai male ad accettare la violazione delle leggi, dice Socrate-Platone, perché la giustizia si ha nel rispetto della legge anche dovesse essere considerata ingiusta perché quella tensione che si realizza fra comportamento del singolo che tende alla giustizia e norma che può anche essere ingiusta, è in questa tensione che poi si opererà in futuro per la costruzione di una norma che sia ancor più tendente al giusto”, spiega Morra.

Il quale forse ha scambiato l’aula del Senato per l’aula scolastica. E vuole dare le sue lezioncine un po’ a tutti.

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