Anche Matteo Salvini, come Silvio Berlusconi, si è scontrato con lo snobismo e il senso di superiorità della sinistra italiana, la quale sicura delle sue prerogative tende da sempre a sottovalutare l’avversario politico, riconoscendolo solo allorché questi consegue schiaccianti vittorie e soprattutto infligge pesantissime sconfitte. Silvio era chiamato dai nemici che lo deridevano “il pupo”, mentre Matteo è definito “la bestia”. Pure Matteo, come Silvio, ha preso un partitino (in realtà il secondo lo ha inoltre fondato) trasformandolo più o meno velocemente in un partito egemone, capace di incamerare crescenti consensi da Nord a Sud.

Ed entrambi hanno alterato il modo di proporsi all’elettorato, stravolgendo le tecniche del marketing-politico: il Cavaliere ha trattato l’elettore da consumatore, Salvini da utente, trasferendo il terreno in cui si realizza la campagna elettorale non soltanto nelle piazze e nelle periferie che pure frequenta con tanto di felpone, ma che sui social network, dove ogni dieci minuti appaiono post, tweet, immagini conviviali e non, alcune ai limiti del ridicolo.

Il leader di Forza Italia, imprenditore di successo, ha fatto del partito un prodotto da proporre al pubblico. Quello del Carroccio ha fatto di se stesso un prodotto, immortalato in tutte le angolazioni e in tutte le salse, pure in mezzo ai salami, e messo in vetrina sui social network, tanto che sia in Emilia-Romagna che in Calabria a gennaio scorso la gente non affermava “io voto per la Lega”, bensì “io voto Salvini”.

Questi è il leader vero e proprio, quell’individuo dotato di indiscusso carisma il quale riesce a fare innamorare gli italiani e a farsi perdonare pure qualche piccolo o grande scivolone.

La sua brillantezza si desume anche dal fatto che i suoi nemici gli stanno dietro, ossia lo imitano, vorrebbero ricalcarne certi comportamenti che pure criticano aspramente, vorrebbero suscitare il medesimo entusiasmo e la medesima fiducia. Basti pensare a Giuseppe Conte, l’avvocato del popolo che ha finito poi con il diventare avvocato di se stesso.

Compiuta la metamorfosi da premier gialloverde a premier rosso fuoco, Giuseppi schizzinosamente ha preso le distanze da quella maniera “poco istituzionale”, a suo avviso, di presentarsi, di fare, di essere, di occuparsi di cosa pubblica. Così come il baciare il rosario o il fotografarsi in qualsiasi circostanza, eppure ha tentato di acquisire popolarità adottando atteggiamenti non troppo differenti, che hanno sortito soltanto l’effetto sgradito di renderlo ancora più finto e plastificato agli occhi degli abitanti della penisola.

Lo stesso vale per l’ex capo dei cinquestelle, Luigi Di Maio. Le differenze tra lui e Salvini sono abissali, anzi siderali, eppure la più clamorosa risiede nel fatto che l’investitura del primo cadeva dall’alto ed era per ciò stesso discutibile e a tempo, Salvini invece se l’è conquistata da sé e nessuno può togliergliela, nessuno ha il potere di rimuoverlo né dentro il suo partito né fuori, poiché nessuno è Matteo Salvini. Egli ha una personalità tanto potente da rendere pure il partito che rappresenta secondario rispetto alla sua persona.

È un caso senza precedenti nella nostra storia. Qualcuno vorrebbe assimilare la figura di Salvini a quella del duce Benito Mussolini, cercando di avvalorare la teoria dell’inesistente pericolo di un rigurgito fascista, eppure Salvini non ha adottato la forza o la violenza per giungere al potere, sebbene la sinistra cerchi di imporre questa lettura facendo leva sulla ormai celebre frase: “Datemi pieni poteri”, pronunciata dal leader della Lega.

Da che mondo è mondo, nessun tiranno ha mai chiesto al popolo il potere assoluto, se lo prende e neanche considera né si confronta con la gente, la quale non deve “dare” bensì solo sottostare. Non possiamo dunque prevedere come evolverà tale ascesa. Certo è che l’opposizione a Salvini, per quanto tenace, si è dimostrata non in grado di scalfirlo, al contrario lo ha avvantaggiato. Forse Matteo può essere distrutto sì, come qualsiasi cosa o fenomeno, ma solamente da se stesso.

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