Sono 1.786 i migranti provenienti dal Bangladesh sbarcati dal primo gennaio di quest’anno ad oggi. I bengalesi si collocano per questo al secondo posto, subito dopo i tunisini, per numero. Ciò nonostante il Bangladesh sia uno di quei Paesi a cui, per motivi sanitari, abbiamo chiuso le frontiere, interrompendo i collegamenti aerei. A poco serve se poi accogliamo clandestini, spesso positivi al coronavirus.

Ma perché i bengalesi vengono in massa in Italia? Il quesito sorge spontaneo e la risposta è semplice: perché l’Italia è l’unico Stato del sistema internazionale disposto ad aprire loro le braccia senza scomporsi sebbene non abbiano un lavoro né una casa né qualcuno che gli faccia da garante, condizioni queste indispensabili per potere varcare le frontiere dei Paesi confinanti o limitrofi al Bangladesh, come Cina, Giappone, ma anche l’Australia, più prossima dello stivale, che è situato dall’altra parte del globo rispetto al Bangladesh. Infatti, questo si trova nell’Asia meridionale, a est dell’India, sul Golfo del Bengala.

Questi viaggi organizzati si poggiano sull’assoluta garanzia che il migrante, una volta toccato il nostro Stato, non sarà rispedito indietro, quantunque delinqua o violi le nostre regole, bensì verrà mantenuto e potrà disperdersi sul territorio: è la morbidezza mostrata dal nostro governo ad incentivare le partenze e gli sbarchi e a favorire i trafficanti di esseri umani, i tour operator che gestiscono l’immigrazione dall’Africa e dall’Asia verso l’Italia, porta sempre aperta su un Occidente che sventola bandiera bianca.

Chi giunge qui sa già che gli si perdonerà la clandestinità e che resterà impunito qualsiasi atto compia, a cominciare dalla violazione dell’obbligo di quarantena.

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