Sono diventati protagonisti durate il lockdown e pure dopo, nella Fase 2, allorché se ne andavano in giro per assicurarsi che i cittadini rispettassero le regole sul distanziamento sociale, non si ammassassero nei bar appena aperti e non si lasciassero andare ad una movida sguaiata e da loro vivamente sconsigliata al fine di evitare – come spiegavano in diretta sui social network – la risalita del numero di contagiati e morti.

I sindaci sono stati eletti quali star del web, grazie ai video esilaranti in cui strigliavano la gente colpevole di comportamenti “irresponsabili” e “dannosi” e minacciavano nuove chiusure nonché il ricorso a misure ancora più severe di quelle già adottate, multe più salate, coprifuoco. I primi cittadini insomma hanno vestito i panni di sceriffi, armati di lanciafiamme (se solo fosse stato lecito!) ma pure di babbi rompicoglioni che mediante duri ammonimenti miravano a riportare i figli scapestrati sulla retta via. Ovviamente, quella di casa.

Tuttavia, ora le cose sono cambiate ed essi sono i primi a rischiare il linciaggio. Una circolare del ministero dell’Interno, inviata ai prefetti dei capoluoghi di regione, spiega che è indispensabile mantenere alta l’attenzione sul fenomeno degli atti intimidatori contro gli amministratori locali, atti che, sotto la spinta propulsiva del disagio sociale, del malcontento generale, della sfiducia e della crisi economica, divengono sempre più probabili. Insomma, i sindaci rischiano grosso. Non solo intimidazioni, ma pure aggressioni.

In un Vademecum indirizzato ai sindaci, il Viminale suggerisce loro di dialogare di continuo con le forze di polizia, utilizzare i social con attenzione, riqualificare le zone segradate e promuovere inziative volte ad accrescere la percezione di sicurezza.

Certo è che i primi cittadini, essendo i politici più avvicinabili, quelli con i quali di solito gli elettori instaurano un rapporto diretto, pagano pure per gli errori di chi si trova ai vertici delle istituzioni. Lassù, irraggiungibile.

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