È crollata ai giardinetti, sotto gli occhi degli amici, la diciassettenne che mercoledì pomeriggio è stata trasportata in ambulanza in coma etilico al pronto soccorso di Livorno. Tre settimane fa, nella medesima città, la stessa sorte era toccata ad una sua coetanea. Domenica mattina, intorno alle ore 3, a Firenze, un’altra giovane ha perso i sensi in strada dopo avere vomito. Pure in questo caso si è trattato di coma etilico. L’amica, meno ubriaca di lei, ha spiegato ai sanitari di stare rincasando da una festa privata a base di birra e vino. Il 17 febbraio, a Crema, un sedicenne è finito in ospedale per una intossicazione etilica. Ogni dì ci si sbronza fino a rischiare la pelle e lo si fa a partire dal primo pomeriggio se non addirittura dal mattino, nelle abitazioni e nelle piazze, nei parchi o davanti ai locali dove è concesso soltanto l’asporto. Si è abbassata l’età dei consumatori ed è stato anticipato l’orario della sbornia.
Frustrazione, solitudine, ansia, paura, noia, incertezza nei confronti di un futuro che ci appare sempre più buio, persino disperazione. Sono questi i sentimenti predominanti nell’animo della collettività dopo un anno di pandemia e gli italiani, proprio come altri popoli del resto del globo, li affogano nell’alcol. Assurdo ma vero: chiudono i bar ed i locali notturni, eppure aumenta il consumo di bevande alcoliche (spesso ordinate online e consegnate a domicilio), le cui vendite sono cresciute del 180%, secondo uno studio dell’Istituto Europeo per il trattamento delle Dipendenze (IEuD). Questo dato, del resto, era già venuto a galla lo scorso aprile, quando l’Istituto superiore di Sanità aveva ricordato agli italiani, in quarantena da alcune settimane, gli effetti devastanti riconducibili ad un ricorso smodato alla bottiglia.
È la prova che sigillarsi in casa e dire addio alla vita mondana non comportano necessariamente la conduzione di una esistenza sana, equilibrata, priva di vizi ed eccessi. Peraltro, bere in solitudine, o comunque tra le mura domestiche, induce a non controllarsi, ossia ad esagerare più facilmente che al bar.
Ci si rifugia in questo genere di sostanze poiché sono agevolmente reperibili ed economicamente accessibili a tutti e creano l’illusione di donare una sorta di benessere. Sedano il malessere dell’anima, ma poi questo esplode in maniera ancora più virulenta, senza considerare i danni che alcol tracannato senza limiti arreca all’organismo in generale.
Ciò che più allarma i medici che quotidianamente si ritrovano davanti casi di intossicazione è proprio il fatto che non sono soltanto gli adulti di ambo i sessi ad alzare troppo il gomito, soprattutto quelli tra i 35 ed i 44 anni, bensì pure i giovanissimi. In particolare, la fascia di età che va dai 18 ai 24 anni è quella più interessata dalla esplosione di vendite di alcolici sul web: nel 2020, +209,2% rispetto al 2019. Risulta che l’acquisto – comodo e veloce – sulla rete di superalcolici, quali cognac e brandy e vodka, è lievitato più o meno del 243%; la spesa di vino invece del 446%, stando ai dati raccolti da Idealo, piattaforma internazionale di comparazione dei prezzi.
Purtroppo, in Italia la propensione a bere è forte nonché antecedente alla pestilenza. Nel giugno del 2020 l’Istat ha pubblicato dati interessanti: nel 2019 il 66,8% della popolazione di 11 anni e più ha consumato almeno una bevanda alcolica nel corso dell’anno, percentuale stabile rispetto al 2018. I consumatori abituali di bevande di questo tipo nel 2019 era pari al 20,2%, mentre quelli occasionali al 46,6%. Inoltre, a bere alcolici fuori dai pasti era allora, nel vecchio mondo che da poco più di un anno ci siamo lasciati inesorabilmente alle spalle, il 30,6% degli abitanti dello stivale. Alla luce del boom di vendite è deducibile che nel 2020 la quota di individui che non possono fare a meno di trincare sia sensibilmente cresciuta. Forse il coronavirus passerà, vinto dai vaccini. Ma rimarremo alcolizzati.