“Ancora un’archiviazione per mio padre su Banca Etruria. Chissà dove sono ora coloro che in questi anni ci hanno insultato, offeso, minacciato. Ma oggi è un giorno bello: la verità è più forte del fango”, ha cinguettato giovedì su Twitter l’ex ministro Maria Elena Boschi, oggi deputata di Italia Viva, commentando l’archiviazione dell’accusa di bancarotta nei confronti del babbo Pier Luigi Boschi, ex componente dell’ultimo consiglio di amministrazione di Banca Etruria.
L’ipotesi di reato avanzata dalla Procura di Arezzo a carico di Boschi e di altri 11 consiglieri indagati riguardava la liquidazione riconosciuta all’ex direttore generale Luca Bronchi, ammontante a 700 mila euro netti di cui 400 mila confiscati poiché ritenuti non dovuti. Il giudice di Arezzo Fabio Lombardo ha stabilito che le condotte dei consiglieri in relazione alla liquidazione di Bronchi non sono penalmente rilevanti: i 12 consiglieri votarono a favore della liquidazione sostanziosa sulla base di consulenze legali dalle quali risultava che la buonuscita fosse legittima. Quindi, essi avrebbero agito in buonafede.
Alcuni mesi addietro era stato archiviato un altro fascicolo che vedeva il papà di Boschi, insieme ai colleghi del cda, indagato per bancarotta fraudolenta. L’ultimo scoglio da superare per Pier Luigi riguarda l’ipotesi di reato di bancarotta colposa inerente alle consulenze d’oro di Banca Etruria. Ad ogni modo, sono decadute le accuse più pesanti che hanno comportato in questi anni uno stress ingente a tutta la famiglia Boschi, in particolare a Maria Elena a causa dei suoi incarichi politici.
Del resto, i partiti si servono di qualsiasi arma per screditare l’avversario e un avviso di garanzia, sebbene non costituisca un rinvio a giudizio o una condanna definitiva, è elemento reputato più che sufficiente per dare addosso al nemico, etichettandolo quale “ladro”, “corrotto”, “disonesto”. Si tratta di una pratica assai diffusa oggigiorno e utilizzata soprattutto dal M5s, giustizialista dalla nascita forse più per ignoranza che per cattiva fede. I pentastellati calpestano sistematicamente il principio della presunzione di innocenza (che evidentemente non conoscono), in base al quale un individuo non può essere considerato colpevole fino al terzo grado di giudizio, ossia fino a sentenza passata in giudicato.
Tale giustizialismo sarebbe pure tollerabile, se solo non fosse rivolto in maniera esclusiva agli antagonisti. Invece, allorché ad essere sotto inchiesta è un cinquestelle, questi resta al suo posto e viene difeso strenuamente dalla sua compagine, che lo proclama “lindo” e “buono”. Accade così, ad esempio, per la sindaca di Torino Chiara Appendino attualmente sotto processo (quindi già rinviata a giudizio) per i reati di omicidio colposo, disastro, lesioni, abuso d’ufficio e falso in atto pubblico.
Nel novembre del 2018, quando nella trasmissione Le Iene un operaio raccontò di avere lavorato per anni in nero per il padre dell’allora ministro del Lavoro Luigi Di Maio, Boschi disse in un video pubblicato sui social: “Vorrei poter guardare in faccia il signor Antonio Di Maio, padre di Luigi, e augurargli di non vivere mai quello che suo figlio e i suoi amici hanno fatto vivere a mio padre e alla mia famiglia”. E ancora: “Caro signor Di Maio, lei è sotto i riflettori per storie davvero brutte: lavoro nero, incidenti sul lavoro, sanatorie e condoni edilizi. Mio padre è stato tirato in mezzo ad una vicenda più grande di lui per il cognome che porta e trascinato nel fango dalla campagna di odio creata da suo figlio. Il fango fa schifo come fa schifo la campagna di fake news su cui il M5s ha fondato il proprio consenso”.
La notizia riguardante il babbo di Gigino fu commentata pure da Matteo Renzi: “Sono certo che Di Maio figlio sia il capo del partito che è il principale responsabile dello sdoganamento dell’odio. Hanno educato, stimolato e spronato a detestare chi provava sinceramente a fare qualcosa di utile. Hanno ucciso la civiltà del confronto. Hanno insegnato a odiare”.
Alla luce delle archiviazioni che infine hanno reso giustizia a Boschi le parole di Maria Elena ci appaiono ancora più autentiche e sentite.
Ciò che invece continua a non apparirci chiaro è come diavolo ci si possa poi alleare con coloro che hanno messo in croce il proprio parente e sostenere un esecutivo di giustizialisti, che senza Italia Viva, che pure ha il peso politico di una piuma ma tanto peso negoziale nel governo giallorosso, verrebbe giù come un castello di carte. Il richiamo della poltrona vince sempre su tutto. E l’interesse a mantenerla è il mastice che conduce Di Maio e Renzi ad essere soci pur disprezzandosi.