di Tommaso Montesano

A leggere i giornali italiani che vanno per la maggiore, gli Stati Uniti stanno andando incontro all’elezione presidenziale più scontata della storia americana: il democratico Joe Biden vincerà e l’“odiato” Donald Trump dovrà sloggiare dalla Casa Bianca. Un dato, soprattutto, spinge i commentatori che si trovano sulla sponda europea dell’Atlantico a questa conclusione: i dati dell’economia Usa, influenzati – come il resto del mondo – dall’emergenza Coronavirus.

Il Prodotto interno lordo, nel secondo trimestre del 2020, ha subìto una contrazione del 32,9% rispetto allo stesso periodo del 2019. Da qui la conclusione: si tratta di numeri troppo negativi – uniti al dilagare dell’epidemia nel Paese – per permettere a “The Donald” di sperare in un bis. E qui, sempre a detta degli analisti europei, entrano in ballo i sondaggi.

Il Corriere della Sera ne ha citati un paio. Il primo si riferisce alla media delle rilevazioni su base nazionale, nella quale Biden avrebbe un vantaggio di circa otto punti. Il secondo, sempre a proposito della “media”, sarebbe relativo alla prevalenza del candidato democratico nei “principali Stati chiave” per circa cinque punti sul presidente in carica.

E qui casca l’asino. Intanto perché i sondaggi a livello nazionale non valgono un tubo: le elezioni presidenziali americane si giocano sulle battaglie nei singoli Stati. È già accaduto in passato – proprio a Trump nel 2016 e a George W. Bush nel 2000 – che un candidato perdesse nel voto popolare per poi vincere nel “collegio elettorale”, che riflette l’andamento del voto “federale”.

E , sorpresa, basta dare un’occhiata alla Bibbia dei siti sui sondaggi elettorali – Real Clear Politics – per capire che i cinque punti di vantaggio di cui è accreditato Biden negli Stati decisivi sono in realtà benzina nel motore di Trump.

Il discorso, infatti, va rovesciato: davvero è una catastrofe, per il presidente uscente, essere in svantaggio di una manciata di punti – senza considerare l’impatto della “maggioranza silenziosa”, tradizionalmente refrattaria a esporsi in una ricerca telefonica – a tre mesi dal voto, con un’epidemia in corso e i dati negativi sul Pil più “in rosso” dal 1947? Non si tratta, al contrario, della conferma che Trump, lungi dall’essere “alle corde”, come da narrativa della stampa politicamente corretta, è in realtà più vivo che mai, forte di uno “zoccolo duro” di sostenitori che non lo abbandona mai? 

La mappa elettorale di Real Clear Politics non lascia spazio a dubbi. La stessa forbice – pur opinabile e poco significativa – su base generale segnala che in realtà la distanza tra Biden e Trump è più corta di qualche settimana fa, quando l’ex vicepresidente di Barack Obama poteva vantare un vantaggio in doppia cifra.

Ma è soprattutto sugli Stati considerati decisivi – la maggior parte vinti dal presidente uscente nel 2016 – che la lotta è aperta. In Wisconsin, Michigan, Ohio, Pennsylvania, Florida e Nevada lo scarto tra i due contendenti, media delle rilevazioni alla mano, è troppo ridotto per trarre conclusioni. Eppure va di moda dare Trump per morto, non considerando che lo stesso errore – a fronte di un candidato addirittura più quotato come Hillary Clinton – è stato commesso nell’estate di quattro anni fa.

Tommaso Montesano

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