È dura l’esistenza dei cani da pastore. Non li incontrerete fieri a spasso per le vie del centro con i cappottini o gli impermeabili addosso nella stagione fredda né spaventati nell’anticamera di un ambulatorio veterinario, in attesa del proprio turno. Perché non c’è proprio nessuno che li ami. E neppure hanno mai conosciuto le carezze.

La loro vita è fatta di duro lavoro, doveri, responsabilità, compiti, che eseguono meticolosamente ogni dì, senza lamentarsene e senza che qualcuno li ringrazi, consapevoli di essere venuti al mondo per servire, per proteggere il gregge, menarlo al pascolo, ricondurre sul sentiero principale la pecorella che se ne sta andando ignara verso quel dirupo laggiù. E chiunque tenti di avvicinarsi agli ovini, che al cane pastore sono stati affidati, fa una brutta fine, che si tratti di un uomo o di un lupo.

Sono coraggiosi questi quattrozampe, non vi è dubbio. Ma fino a qualche giorno addietro non sapevamo neppure quanto lo fossero, anzi, se proprio vogliamo dirla tutta, nemmeno pensavamo a queste bestie che se ne stanno in campagna, in montagna, rintanate da qualche parte, lontanissime dai nostri ingannevoli luccicori.

Però poi è successo che uno di codesti esemplari, ossia un cagnolone votato alla pastorizia, è finito sui giornali. Il suo nome è Angelo, cioè, chiariamo, non aveva un nome fino a dieci giorni fa e non aveva neanche un microchip. È stato chiamato così in onore del veterinario che lo ha trovato in fin di vita a Tresnuraghes, su un terreno ancora fumante divorato dalle fiamme, nell’epicentro degli incendi che hanno devastato la provincia di Oristano.

Angelo se ne stava mesto, abbattuto, con i polpastrelli letteralmente spappolati dal fuoco, le membra arse, il pelo bruciato, le carni scandalosamente esposte. Un autentico miracolo che ancora respirasse. Il medico lo ha preso e lo ha condotto presso la clinica DueMari e da un post pubblicato sui social network la storia di fido è rimbalzata sui quotidiani alla velocità della luce: Angelo, il cane eroe che non ha lasciato il gregge sfidando i roghi allo scopo di salvaguardare le sue protette. Ce la farà o non ce la farà?

Purtroppo non ce l’ha fatta, perché l’altra notte, dopo una atroce agonia, incapace di reggere ancora tanta sofferenza, Angelo si è lasciato andare. E c’è già chi specifica: “Non era lì per il gregge, semplicemente si era rifugiato in un pertugio. Tutto qui”. A noi, invece, piace ancora credere, anzi ne siamo convinti adesso più che mai, che Angelo, cucciolo valoroso, abbia tentato in tutti i modi di allontanare le fiamme dalle sue pecore o le sue pecore dalle fiamme. E nella sua struggente ingenuità canina forse si era persino illuso di riuscirci. Per un attimo almeno.

Era il cane di nessuno. Oggi è il cane di tutti. E negli ultimi dieci giorni della sua esistenza, i più tragici, Angelo ha finalmente sperimentato quell’amore che non aveva mai sperimentato prima, abituato com’era soltanto a dare, a dare, a fare, mai a ricevere, se non il pasto a fine giornata, una volta riportate le bestiole all’ovile.

È possibile apprendere da tutti. Da certi esseri umani possiamo imparare a non essere come loro. Da certi animali, invece, dobbiamo imparare a essere come loro. A essere come Angelo, che non si è sottratto ai suoi oneri, acquisiti fin da piccolino, che non è scappato via curandosi esclusivamente della sua pelliccia, che ha sfidato ogni avversità, senza farsi intimorire, che ha resistito solo contro tutto. Che ha combattuto fino al postremo istante di vita.

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