Avrebbe dovuto essere l’esecutivo del cambiamento, capace cioè di apportare un decisivo strappo rispetto al passato grazie all’avvento di una classe politica immacolata e vergine, che non aveva mai governato. Tuttavia non è cambiato un bel niente ad eccezione di coloro che hanno fatto parte del consiglio dei ministri, i quali hanno subito una sorta di metamorfosi, passando da posizioni di destra a posizioni di sinistra estrema. Il primo a trasformarsi in 446 giorni di attività è stato il premier Giuseppe Conte. Egli è la prova che la fortuna esiste, altrimenti non ci potremmo spiegare la repentina ascesa politica che lo ha portato in un baleno dalla cattedra a palazzo Chigi da perfetto signor Nessuno. Non che i suoi meriti Giuseppe non li avesse. Il suo curriculum è notevole: una collezione di perfezionamenti conseguiti in giro per il pianeta, e poco importa se dall’estero ci hanno poi fatto sapere che Conte in certe prestigiose facoltà non era mai stato. Ad ogni modo, gli italiani disconoscevano la sua esistenza. Se lo sono ritrovati da un giorno all’altro in diretta televisiva, mentre egli annunciava che sarebbe diventato il loro avvocato personale, ossia che ne avrebbe assunto le difese, contro cosa o contro chi non sappiamo. Nominato d’ufficio, ovviamente, cioè designato da Luigi Di Maio, il quale lo volle a tutti i costi, preannunciando ancora prima delle elezioni del 4 marzo 2018, ovvero a fine febbraio, che Conte era papabile nel ruolo di ministro della pubblica amministrazione, deburocratizzazione e meritocrazia nel caso (dato anche troppo per scontato) in cui avessero vinto le elezioni i cinquestelle. Giuseppe, dal canto suo, non declinò l’offerta, anzi si fece sapere disponibile “per spirito di servizio”, ciò che sempre lo muove, a suo dire. E poche ore dopo rassegnò le dimissioni dal Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, organo di autogoverno dei magistrati amministrativi. Essendo appassionato giurista nonché docente di diritto privato presso l’Università degli Studi di Firenze, il foggiano ha svolto il suo ruolo seguitando ad indossare la toga, quindi non perdendo mai di vista i principi etici del diritto e mantenendo un encomiabile equilibrio. Bisogna riconoscergli il merito di avere accettato di fare il premier stando agli ordini e agli umori dei suoi vicepremier, Salvini e Di Maio. E ce ne vuole di pazienza! Si dice che “tra i due litiganti il terzo goda”, in certe circostanze invece il terzo fa il primo ministro fantoccio.
Insomma, l’avvocato, “il terzo comodo”, non doveva fare altro che la comparsa ed eseguire ciò che gli veniva impartito, evitando peraltro di montarsi la testa. Ed egli, di buon grado, “per spirito di servizio”, si è piegato. Lo ha fatto per gli italiani. Intanto, piano piano, rospo dopo rospo mandato giù, umiliazione dopo umiliazione, dentro di lui qualcosa ribolliva e si compiva il cambiamento. Così, nel suo ultimo giorno di governo, da avvocato degli abitanti della penisola è divenuto il pm che in aula ha tenuto la requisitoria contro il ministro dell’Interno, che gli sedeva accanto. Del resto, questo triumvirato è stato sempre sproporzionato, pendente da un lato: Giuseppe Conte era creatura cara a Di Maio, di cui era pure legale di fiducia. Fu questi a designarlo. Il leader del Carroccio, per dimostrare la sua intenzione di collaborare, non sollevò perplessità. In fondo, il foggiano ha un aspetto rassicurante e placido, un contegno misurato, modi cortesi, quasi impacciati, e non sembra nutrire alcuna velleità o sfrenata ambizione politica. Non è uno di quelli da cui ti aspetti che potrai essere spodestato, estromesso, danneggiato, colpito alle spalle. È il prestanome o prestaruolo ideale.
Invece, 446 giorni di governo lo hanno stravolto. Ci sembrava imbalsamato e alla fine si è destato. E nella sua arringa ha voluto dimostrare a tutti che egli è senza dubbio migliore di Matteo Salvini, che invece risulta “pericoloso”, “privo di coraggio”, “carente di cultura istituzionale”, “promotore dei suoi esclusivi interessi personali e di partito”, per perseguire i quali “strumentalizza pure i simboli religiosi” nonché mira a “suscitare reazioni emotive nelle folle”. A Giuseppe, invece, le virtù per governare non mancano. Egli sì che è adeguato nella chic veste di premier. Che gli calza tanto bene da non volerla abbandonare. Mentre rassegna le dimissioni, infatti, illustra punto per punto il suo nuovo lungo tedioso programma politico. E pure esso appare capovolto rispetto alle intenzioni originarie. Nel discorso di insediamento, nel giugno dello scorso anno, Giuseppe aveva annunciato la volontà di contenere e ridurre drasticamente il fenomeno dell’immigrazione clandestina, inasprendo le misure di contrasto al traffico di esseri umani; oggi, invece, giudica disumano non accogliere gli immigrati e crudele la politica dei porti chiusi portata avanti da Salvini e promossa da lui stesso in qualità di presidente dell’esecutivo.
Ora che l’avvocato è diventato progressista e si è unito alla schiera dei detrattori radical del leader della Lega, Renzi auspica un Conte bis. Noi, invece, siamo già pieni.
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Articolo pubblicato su Libero, 23 agosto 2019