Come se non ne avessimo avuto già abbastanza delle proposte anacronistiche e delle idee bizzarre nonché inutili della sinistra, i giallorossi, dopo ius soli, patrimoniale, dote da 10 mila euro ai diciottenni, Ddl Zan, lotta al vocabolario, ritenuto maschilista, hanno scovato un’altra causa per cui battersi strenuamente. Alcuni deputati di Pd, M5s, Italia Viva e LeU, tra cui Laura Boldrini, Piero Fassino, Emanuele Fiano, Walter Verini, hanno presentato una proposta di legge che ha come obiettivo la trasformazione della canzoncina popolaresca “Bella ciao” in un canto nientepopodimeno che istituzionale, di pari dignità rispetto all’Inno di Mameli, da eseguire dunque in occasione delle cerimonie, come quella della festa della Liberazione del 25 aprile. A giudizio dei parlamentari di sinistra il brano rappresenta “i valori fondanti della Repubblica”. Anche il vignettista Vauro Senesi sostiene che “Bella ciao dovrebbe sostituire addirittura l’Inno di Mameli, poiché migliore e perché è veramente una canzone della Repubblica italiana nata dalla Resistenza antifascista”. Insomma, l’inno di Mameli in confronto a Bella ciao sarebbe una porcheria.

I progressisti si sono messi in testa che quest’ultima canzonetta sarebbe comunista e partigiana, invece non è né una cosa né l’altra. Sembra che i partigiani non abbiano mai intonato codeste note in quanto nel periodo della Resistenza “Bella ciao”, che forse al principio era la canzone delle mondine, non esisteva e si diffuse, diventando incredibilmente popolare persino al di là dei confini italiani, solamente nel dopoguerra. Quantunque le origini di “Bella ciao” siano incerte e potremmo stare a discuterne per ore ed ore, sappiamo con sicurezza che essa raggiunse una straordinaria diffusione di massa negli anni Sessanta, grazie anche a cantautori come Yves Montand, francese di origine toscana, e Gaber, il quale nel 1963 la cantò per la prima volta in tv, nella trasmissione “Canzoniere minimo”.

Occorre concluderne che con la nascita della Repubblica ed i principi che ne stanno alla base “Bella ciao” non ci azzecca un tubo. Tuttavia i progressisti se ne fregano di queste minuzie e non solo si sono intestati tale aria – illegittimamente –, ma adesso vorrebbero pure renderla obbligatoria, ossia imporla ad eventi, parate, anniversari e celebrazioni, magari condannando all’oblio il nostro amato e insostituibile inno nazionale. Inoltre, non possiamo non tenere conto del fatto che il canto in questione rappresenta una unica parte politica, quella rossa, che da anni lo utilizza come propria colonna sonora nel corso di congressi, raduni e grigliate. Come potrebbe allora essere elevato a inno del Paese intero e come potremmo credere che esso costituisca la sintesi dei valori fondativi del nostro ordinamento, che sono lavoro, libertà, democrazia? Siamo davanti all’ennesima manifestazione di arroganza della sinistra, la quale mira a cancellare tutto ciò che non le sta bene, a calpestare e stravolgere le tradizioni, ad appiccicare etichette agli avversari, come quelle di fascista e razzista, a strumentalizzare la storia, facendo valere la sua interpretazione.

“Bella ciao”, assunta indebitamente quale emblema dei radical-chic che la canticchiano pure sotto la doccia e al karaoke, non può divenire il nuovo inno dell’Italia. A Boldrini, ma anche a Fiano e Fassino e tutti coloro che hanno promosso questa sciocca proposta di legge, diciamo: “Canta ché ti passa”.

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